#DAGLISTUDENTI
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#STUDENTI:
I mondiali in Qatar sono la vergogna del mondo sportivo
Intorno alla decadenza valoriale del mondo sportivo si parla sempre di più, ma ancora non abbastanza.
Le logiche quasi aliene che influenzano lo sport nei luoghi dove questo è coperto di soldi (quindi specialmente le competizioni mondiali, e specialmente quelli di calcio) fanno rabbrividire; ma a rompere il tetto di cristallo forse saranno questi mondiali in Qatar, che sono un tonfo in basso dal punto di vista umano, sociale ed ambientale.
Cosa può fare il mondo dello sport per ripulirsi da tali macchie?
Il mondo sportivo è un mondo estremamente variegato.
La sua base sono le tante persone comuni che spendono soldi, tempo ed energia e provano a fare perno su un "potenziamento" del corpo per sentirsi meglio con sé stessi e conoscere altre persone.
Qualcuno potrebbe dire che il volontariato soddisfa e socializza di più, costa meno, e almeno aiuta gli altri, ma a quanto pare non tutti sono fatti per fare le stesse cose.
E comunque, a parere mio, gli strali sono da conservare per i vertici di questo mondo tanto variegato. Che si assomigliano tutti: grandi società multimiliardarie che comprano e vendono di tutto (compresi atleti e squadre intere), intascano i proventi degli sponsors e dei diritti tv, fanno in modo che gli stadi siano sempre pieni di tifosi, veri o pagati, e a margine degli show stringono legami e collaborazioni con il mondo politico (uno dei più vecchi e ricchi politici italiani aveva una squadra tutta sua, indovinate chi è).
Quando girano tutti questi soldi, è fisiologico che emergano vari problemi: dalla classica disuguaglianza tra i calciatori famosi e il resto delle persone (se lo sport ci rende tutti fratelli, perché alcuni possono morire di fame mentre altri si comprano ville e yacht?) a cose molto più grandi e insolite, come le macchinazioni legate al luogo, fisico, di partite e campionati.
Nella storia sono stati molti, ad esempio, i paesi e le grandi aziende colpevoli di violazioni di diritti umani che hanno usato i mondiali di calcio o altre competizioni importanti per "farsi più belli": Russia, Cina, multinazionali di petrolio e plastica, solo alcuni di quelli che hanno usato lo strumento dello "sportwashing" per migliorare la propria fama a livello globale.
L'ultimo episodio, e forse quello più eclatante, è quello del Qatar: una dittatura iperconservatrice in cui i diritti delle donne quasi non esistono, gli lgbt sono perseguitati ed è permesso requisire i documenti ai lavoratori di base per poi ricattarli e usarli come schiavi; uno dei paesi con le maggiori disuguaglianze al mondo, un petro-stato che lavora con ogni mezzo legale (e non solo) per impedire che il mondo si liberi delle fonti fossili e si salvi dal collasso climatico.
Forse per capriccio o più probabilmente per calcolo geopolitico, recentemente l'Emiro del Qatar aveva fatto di tutto perché nel consiglio della FIFA si votasse a favore di un campionato nel suo paese: tra le altre cose, aveva acquistato elicotteri a valanga dalla Francia e aveva offerto affari miliardari a molti altri Stati.
Dopo il successo della sua "ricca" diplomazia era iniziata la costruzione degli stadi, con spese pazze, standard lavorativi miseri (almeno 6500 lavoratori sono rimasti uccisi nella costruzione), una logica costruttiva miope (gli stadi sono enormi e lontani dai centri abitati, dopo quelle due settimane di competizione saranno inutilizzati), e soprattutto la violazione indiscriminata di ogni regola di buonsenso ambientale.
Giusto per dare qualche esempio:
- emissione di 36 000 000 di tonnellate di gas serra per la costruzione degli stadi (a cui vanno aggiunte le emissioni degli aerei che trasporteranno giocatori, tifosi e personale);
- uso di 1 440 000 di litri d'acqua al giorno solo per annaffiare la zona verde terraformata dentro e fuori gli stadi (in un paese dove l'acqua scarseggia sempre più);
- utilizzo di "condizionatori all'aperto", con un consumo di energia elettrica incalcolabile in un paese che la produce principalmente dal petrolio.
Nonostante sia il campionato più impattante sull'ambiente di sempre, gli organizzatori l'hanno definito "a impatto zero" sostenendo che le emissioni di gas serra saranno compensate dalla piantumazione di moltissimi alberi nel deserto; alberi che però per crescere ed effettivamente assorbire la co2 dovranno essere abbondantemente irrigati. Inutile dire che l'irrigazione dipenderà da un gran numero di desalinizzatori, di loro energivori e potenzialmente molto impattanti sull'ambiente ecologico marino (in quanto spesso il materiale estratto viene poi disperso nel mare senza attenzione agli effetti immediati dell'aumento della concentrazione nelle zone interessate).
Negli stadi delle ultime partite, gran parte dei "tifosi" potrebbero essere ex lavoratori-schiavi ora costretti a impersonare una parte dello show: questo spiegherebbe perché a popolare le tribune comunque semivuote sono in massima parte uomini adulti, molto abbronzati, con i lineamenti tipici delle etnie che vanno a cercare lavoro in Qatar (prevalentemente indiani, nepalesi e pakistani).
Questo tratto però sfugge a molti telespettatori, impegnati a vedere la nazionale tedesca tapparsi la bocca contro la censura della FIFA (anche questo sacrosanto, per carità) o (meno sacrosanto) a fissare il pallone e la conta dei gol.
Ma alla fine è proprio da telespettatori, tifosi e sportivi in generale che può iniziare la fine di questa decadenza: dal boicottare i mondiali e il relativo merchandising, al rendersi indipendenti dalle dinamiche tossiche dei grandi mercati sportivi, passando per molte altre azioni che lascio all'immaginazione dei lettori.
Se lo sport ritorna ad essere prevalentemente gioco e comunità, sarà una forza buona della nostra epoca; se invece continuerà a culminare nella competizione sfrenata, nei soldi e nella strumentalizzazione politica, sarà un ingrediente della nostra rovina.
#STUDENTI:
SPECIALE COP27
Chi sono i profughi climatici
La questione migranti è seria, sarà sempre più urgente e va affrontata a partire da una delle sue cause crescenti: le conseguenze del surriscaldamento globale antropogenico.
Avendo bene in chiaro la situazione, possiamo smascherare le varie strumentalizzazioni che esalano da anni dalla politica e impediscono di gestire il problema in modo realistico.
In un contesto in cui, nonostante gli effetti del surriscaldamento globale siano sempre più catastrofici e mortiferi, anche la COP27 sembra destinata al fallimento (come del resto tutti i summit sul clima precedenti), occorre dirci la verità su quelle che in tutta probabilità saranno le migrazioni nei prossimi decenni.
Storicamente (e preistoricamente), le popolazioni umane di ogni tipo e dimensione si sono spesso spostate da luoghi giudicati pericolosi o comunque poco adatti alla prosperità, a spazi che invece potevano offrire una vita quantomeno dignitosa.
Se per qualsiasi motivo un luogo diventa invivibile o comunque più "difficile", i suoi abitanti tendenzialmente emigrano altrove.
Il motivo può essere anche il surriscaldamento globale; in questo caso si parla di migrazioni climatiche e migranti climatici, e c'è anche chi parla direttamente di "profughi" climatici, inquadrando il collasso del clima come una (in?)consapevole guerra meteorologica contro le nuove generazioni, contro i giovani e contro le comunità più vulnerabili.
Ci sono più tipi di profughi climatici.
Quelli che si spostano da una nazione all'altra sono i più disperati: la scelta di emigrare in un luogo completamente nuovo e dalla lingua talvolta sconosciuta, dove spesso non si ha possedimenti né conoscenti, si può compiere solo se si reputa che la nazione dove si è cresciuti non abbia più un futuro da offrire per sé e per i propri discendenti.
Quelli che si spostano all'interno della stessa nazione sono la stragrande maggioranza e non caratterizzano solo i paesi poveri: le zone più colpite in generale sono quelle lentamente erose dall'innalzamento dei mari (sì, succede anche in Italia) o massacrate da eventi climatici estremi particolarmente catastrofici, che rendono inagibili delle zone prima abitate (accaduto recentemente anche in Germania).
Quelli che si spostano all'interno della stessa zona, in un fenomeno conosciuto anche come "gentrificazione climatica": non solo i contadini rovinati dalle siccità, che vanno a cercare lavoro in città (vedi Medio Oriente); ma anche il lento spostarsi della popolazione nei paesi in cui si vive in affitto (parte degli USA), che vede i poveri venire spostati via via verso le zone più affette da ondate di calore o esposte a incendi o inondazioni, creando dei veri e propri ghetti.
Secondo l'ONU, se falliamo a contenere il surriscaldamento globale sotto gli 1,5°C di anomalia rispetto alle medie storiche, zone con centinaia di milioni di abitanti saranno rese inabitabili dal caldo o dall'innalzarsi del mare; e aree in cui vivono miliardi di persone saranno frequentemente colpite da eventi estremi, del calibro della recente e disastrosa alluvione in Pakistan che ha causato trentatré milioni di sfollati, mezza Italia.
E se già adesso proprio l'Italia è colpita da una scarsità di precipitazioni che ormai dura da 12 mesi e sta mettendo in crisi l'agricoltura, cosa potremo aspettarci che succeda in futuro nei paesi più vicini all'Equatore?
Avremo un aumento smisurato di migrazioni all'interno di zone e di nazioni, ma anche e soprattutto una tendenza degli abitanti dei paesi più poveri, fragili e colpiti a cercare rifugio nei paesi più ricchi.
Una tendenza che nei prossimi decenni diventerà tale da superare gli attuali flussi migratori causati da motivi politici ed economici (anche questi comunque alimentati dal surriscaldamento globale), ma che già adesso risulta evidente.
Se noi dei "paesi ricchi" abbiamo una coscienza, non dobbiamo cedere né alla repulsione di certa destra né al paternalismo di certa sinistra: le migrazioni climatiche sono causate in grandissima parte dalle emissioni dei paesi ricchi e dei suoi abitanti più abbienti, che se vogliono dimostrare di avere una dignità storica, devono prendersi le proprie responsabilità e rimediare ai danni causati, dando alle vittime delle loro scelte almeno un posto dove vivere in santa pace sperando che il fronte aperto del collasso climatico non continui ad avanzare.
#DAGLISTUDENTI:
Perché il CRC di Ca'Foscari non ha capito l'emergenza climatica
Una cosa da far salire una risata isterica a molti prof del campus, ai membri dell'Ufficio Sostenibilità, e in generale a chiunque sappia qualcosa della gravità del surriscaldamento globale: nonostante il Senato Accademico abbia votato unanime la Dichiarazione di Emergenza Climatica ed Ecologica a Luglio, ecco che il Circolo Ricreativo Culturale dell'Ateneo propone ai membri una crociera.
Il CRC (Circolo Ricreativo Culturale Ca'Foscari) è un'organizzazione legata all'Ateneo che offre eventi culturali, ricreativi e turistici di vario tipo ai dipendenti di Ca'Foscari: dallo sport alle visite d'arte, fino alle escursioni in montagna e molto altro.
Una missione giusta e sacrosanta, che aiuta una parte della comunità cafoscarina spesso trascurata a formare al suo interno legami e vivere esperienze, generando un'impatto piccolo, ma positivo, sulla società in generale.
Sarebbe proprio un brutto scherzo se questo impatto sociale positivo venisse messo in ombra da una scelta probabilmente precipitosa e poco ragionata, che andrebbe a rendere il CRC responsabile di un forte danno ambientale e climatico con una gita di pochi giorni: sì, stiamo parlando di una escursione in crociera, il mezzo di trasporto in assoluto più inquinante e climalterante tra tutti quelli possibili.
Secondo un report della ONG Transport&Environment (T&E), le crociere europee arrivano a inquinare ed emettere più di tutto il parco automobilistico del continente, risultando come delle vere e proprie "fabbriche di inquinanti e rifiuti" che vagano per il mare danneggiandone gli ecosistemi, oltre che una fonte continua (e decisamente poco necessaria) di anidride carbonica e altri gas serra.
Poiché è stato stimato che i danni provocati dalla co2 in eccesso in atmosfera siano in media 400 euro a tonnellata emessa, e poiché un viaggio in crociera standard emette circa una tonnellata di co2 al giorno per passeggero, ogni aderente all'iniziativa del CRC per i primi di maggio potrebbe andare a emettere 4 tonnellate di gas serra, e quindi causare circa 1600 euro di danni; ed è difficile che i 500 euro di biglietto vadano a pagare l'offsetting delle emissioni.
Tale iniziativa arriva a pochi mesi dalla presa di coscienza dell'Ateneo attraverso la Dichiarazione di Emergenza Climatica ed Ecologica; forse non vi è stata comunicazione tra Ca'Foscari e il suo CRC, e forse i membri organizzatori del Circolo stesso non possiedono ancora una conoscenza appropriata sull'ormai soverchiante pericolo del surriscaldamento globale (che qui in Italia si è finora tradotto principalmente in una siccità tremenda che ancora prosegue, e di temperature sempre più anomale).
Ecco allora una duplice proposta per il CRC.
Per evitare di farci una bruttissima figura proprio nell'anno in cui l'Università vanta una riduzione senza precedenti della propria carbon footprint, il Circolo potrebbe:
- chiedere ai soci aderenti alla crociera un contributo per la compensazione della co2 emessa, da poi girare agli enti internazionali di competenza; una modica cifra di 1600 euro a testa, che si sommerebbe ai 500 euro cadauno del biglietto.
- oppure annullare l'evento il prima possibile, e organizzarne in alternativa uno più sostenibile, locale, sano. Viviamo in uno dei paesi più belli del mondo, a maggio ci sono sole e fiori ovunque, le occasioni di belle esperienze a due passi da casa non mancano, anche di volontariato (che, secondo recenti studi, fa più bene
di quanto si pensasse alla socializzazione e alla stima di sé).
La scelta al CRC: per il pianeta e nel territorio, o contro il pianeta e lontano dal territorio?
#DAGLISTUDENTI:
Intervista ad Alba, la nostra compagna che ha incontrato le Nazioni Unite a Bonn
Tra le facce che incrociamo tutti i giorni in campus vi è quella di una studentessa che recentemente è andata a Bonn (Germania) per partecipare ad un importante summit di un’associazione internazionale, con decine di partecipanti da ogni parte del mondo.
Abbiamo deciso di farle un’intervista.
Ciao Alba, ti va di presentarti?
Ciao! Mi chiamo Alba Margherita Moratto, ho 22 anni e sono al secondo anno della triennale di Scienze Ambientali. Sono di Capriva del Friuli (GO), al confine con la Slovenia, ma attualmente risiedo a Mestre.
Ho molte passioni, tra queste l’ambiente, il canto, le fotografie, il nuoto e la recitazione teatrale.
Faccio parte di Plant for the Planet dal 2014 (mi sono unita a soli 13 anni).
Prima che ci racconti del Summit cui sei andata, ci dici di più su Plant for the Planet?
E’ un’associazione nata del 2007 da Felix Finkbeiner, un ragazzino di 9 anni che, dopo aver fatto un lavoro per scuola sulla fotosintesi clorofilliana, aveva visto il film “Una scomoda verità” di Al Gore e aveva scoperto la storia di Wangari Maathai (la promotrice del progetto Green Belt in Africa, la “muraglia di alberi” contro l’avanzamento del deserto).
Ispirandosi a tutto questo, Felix aveva deciso con la sua prof di scienze di piantare alberi nella sua scuola, e poi a far partire una gara tra le scuole a chi piantava più alberi; da lì è anche partito il progetto delle Accademie per bambini sulla crisi climatica: dei laboratori scolastici volti in parte alla promozione dell’associazione ma soprattutto alla formazione dei giovanissimi sui temi ambientali e su come affrontarli (e, addirittura, su come comunicarli agli adulti!).
Nel 2011 Felix è stato invitato ad un summit ONU, dove ha chiesto l’“appoggio di tutti i bambini del mondo” per piantare 1 miliardo di alberi: da lì è nata una ONG internazionale, e nel 2015 c’è stato il suo primo Youth Summit.
Prima di quest’anno, eri già stata ad uno di questi Youth Summits?
Sì, il primo è stato nel 2018 a Vallecrosia (Provincia di Imperia) ed è stato uno shock perché non avevo mai parlato con tutti in inglese per giorni prima di allora.
Eravamo ospiti del Principe di Monaco (Alberto II) nel Grimaldi Forum, un castello di vetro di 3 piani dove abbiamo passato molto tempo a “dare la caccia” ai vari VIP per chiedergli di strappare un assegno per la nostra organizzazione: io stessa ho provato a parlare con un ricco chirurgo plastico e con l'ex segretaria della madre del principe stesso (Grace Kelly).
A quell’evento, come ONG è stato anche lanciato l’obiettivo non più di un solo miliardo, ma di mille miliardi di alberi da piantare in tutto il mondo.
Qual è il tuo ruolo in Plant for the Planet?
Ad agosto 2019 è nata la filiale italiana dell’ONG, e io ero tra i 5 fondatori; il mio ruolo ora è rappresentare l’Italia negli Youth Summits e restare in contatto con i rappresentanti degli altri paesi.
Inoltre organizzo laboratori per bambini (le Accademie di cui sopra) online o di persona, coordinandomi con gli insegnanti.
Passiamo alla tua esperienza di questa settimana: che esperienze hai vissuto?
Sono dovuta partire il 18 ottobre per arrivare al Summit il 19; il primo giorno ci sono stati specialmente eventi per entrare in sintonia tra noi: eravamo più di 70 persone da paesi di tutto il mondo.
Nella giornata successiva siamo entrati nel vivo del programma, piantando in due ore un centinaio di querce autoctone in una riserva naturale sotto le indicazioni di una guardia forestale, potendo nel frattempo vedere i cervi della riserva.
Rientrati, abbiamo assistito ad un discorso del presidente della Repubblica Ceca; poi Sagar Aryal, sviluppatore dell’app della nostra ONG che serve a mappare gli alberi piantati, ci ha illustrato le ultime novità nell’ambito (es. l’implementazione del rischio incendi e alluvioni nelle zone interessate dalle piantumazioni.)
E’ seguito il discorso di Felix su un progetto dell’organizzazione in Messico, dove lui ora si sta laureando in una magistrale che studia la biodiversità del terreno.
Poi il mio intervento: ho presentato il nuovo inno di Plant for the Planet, Song for Gaia (visibile anche su youtube). E’ stato realizzato da una coppia di italiani, insegnante di musica lei e tecnico musicista lui, con l’aiuto di figli e alunni.
Infine, una serie di workshop sul nostro possibile ruolo, come ONG, alla COP27.
Il giorno successivo è stato molto simile, ora non mi dilungo troppo nei dettagli: siamo andati in un palazzo dell’ONU per vedere la presentazione dei punti dell’Agenda 2030. Lì alcuni di noi, più preparati, hanno messo in difficoltà il relatore chiedendogli che senso avevano alcuni dei 17 punti, che non erano facilmente monitorabili e quindi rischiavano di favorire il greenwashing. Inoltre, gli è stato chiesto come mai i caschi blu dell’ONU non stavano intervenendo in Ucraina come invece avevano fatto in molti paesi del terzo mondo.
La sua reazione è stata parecchio stizzita: ha concluso in fretta e ci ha mandati fuori dalla sala per non ricevere più domande così scomode.
Due dettagli che mi sono dimenticata: una cosa non proprio piacevole era che tutte le mattine venivamo sottoposti a tampone anti-covid; una decisamente più bella è che ogni pasto era un buffet con piatti vegani e vegetariani, squisiti.
Hai conosciuto persone particolari?
Mi ricorderò di sicuro la ragazza ucraina, Sofiia, che aveva un carattere molto tosto e sapeva cosa voleva dalla vita. Mi ha raccontato che, prima della guerra, voleva fare la modella ma al provino le avevano detto che era troppo poco magra: lei li aveva semplicemente mandati a quel paese, e secondo me ha fatto benissimo.
Inoltre ho fatto amicizia con Simun, un cecoslovacco simpaticissimo campione di battute sceme e poesie sull’ambiente.
Inoltre sono riuscita a parlare con Felix: gli ho detto che volevo andare anche io in Messico per partecipare al progetto dello studio della biodiversità del terreno, e lui mi ha risposto che potrò raggiungerlo anche l’anno prossimo, volendo. I volontari non mancano, ma allo stesso tempo ce n’è sempre più bisogno.
Ottimo, ho finito le domande!
Vorresti aggiungere qualcosa, in chiusura all’intervista?
Certo, due buone notizie…
La prima è che, a partire da quest’anno, abbiamo deciso di fare le Accademie non solo per i più piccoli, ma anche una nuova modalità più “adulta” dedicata ai giovani fino ai 25 anni: chiunque fosse interessato a organizzarne una con noi e/o a parteciparci, può contattarmi direttamente.
La seconda è che il prossimo Summit di Plant for Planet, che si terrà dal 4 all’8 ottobre 2023, è a Francoforte (molto più vicino a qui rispetto a Bonn) ed è aperto a chiunque voglia venire, non solo membri della ONG: quindi voi che leggete l’intervista, siete tutti invitati! E’ un’esperienza favolosa!
#DAGLISTUDENTI:
I super ricchi stanno pianificando di salvarsi (da soli)
(traduzione dell'articolo di Douglas Rushkoff sul TheGuardian)
È ora di comprarti un bunker... se puoi permettertelo.
"In quanto umanista che scrive dell'impatto della tecnologia digitale sulle nostre vite, spesso vengo scambiato per un esperto di futuro.
Le persone più interessate ad ascoltarmi per le mie opinioni sulla tecnologia di solito sono anche più interessate ad identificare la prossima grande invenzione attraverso la quale dominare le persone in futuro, che a costruire strumenti che aiutino gli altri a vivere una vita migliore nel presente.
Di solito non rispondo alle loro domande. Perché aiutare questi pazzoidi a rovinare ciò che resta dell’Internet, tanto meno della civiltà?
Tuttavia, a volte una combinazione di curiosità morbosa e bisogno di denaro è sufficiente per portarmi su un palco di fronte all'élite tecnologica, dove cerco di dare loro un’opinione su come le loro attività stiano influenzando le nostre vite qui nel mondo reale.
È così che mi sono ritrovato ad accettare l'invito di un gruppo misteriosamente firmato come "stakeholders ultraricchi", in un luogo semisegreto in mezzo al deserto.
Una limousine mi aspettava all'aeroporto.
Quando il sole ha cominciato a calare all'orizzonte e siamo arrivati al bunker, mi sono reso conto di aver viaggiato in macchina per tre ore.
Che tipo di ricconi da gioco in borsa guiderebbe così lontano dall'aeroporto per una conferenza?
Poi l'ho visto. Su una via parallela vicino all'autostrada, come se ci corresse contro, un piccolo jet stava abbassandosi per un atterraggio su un aeroporto privato.
Ovviamente.
La mattina dopo, due uomini in maglione Patagonia dai colori abbinati vennero a prendermi dalla mia stanza con una macchina da golf e mi condussero, attraverso rocce e sottobosco artificiali, in una sala riunioni.
Mi hanno lasciato a bere un caffè in quella che pensavo fosse la stanza dove dovevo prepararmi.
Ma invece di essere io cablato con un microfono o portato su un palco, è stato il mio pubblico a venire da me.
Si sono seduti intorno al tavolo e si sono presentati: cinque uomini super ricchi – sì, tutti uomini – dai vertici del mondo degli investimenti tecnologici e degli hedge funds. Almeno due di loro erano miliardari.
Dopo un po' di chiacchiere, mi sono reso conto che non avevano alcun interesse per il discorso che avevo preparato sul futuro della tecnologia. Erano venuti a farmi domande.
Hanno iniziato in modo abbastanza innocuo e prevedibile.
Bitcoin o Ethereum?
Realtà virtuale o realtà aumentata?
Chi raggiungerà per primo il calcolo quantistico, Cina o Google?
Alla fine, sono entrati nel loro vero argomento di preoccupazione: Nuova Zelanda o Alaska? Quale regione sarebbe meno colpita dalla prossima crisi climatica?
Da lì è solo peggiorato.
Qual era la minaccia maggiore: il riscaldamento globale o la guerra biologica?
Per quanto tempo si dovrebbe pianificare per poter sopravvivere in un bunker senza un aiuto esterno?
Un rifugio dovrebbe avere una propria fornitura d'aria?
Qual è la probabilità di contaminazione delle acque sotterranee?
Infine, l'amministratore delegato di una società di intermediazione ha spiegato di aver quasi completato la costruzione del proprio sistema di bunker sotterranei e mi ha chiesto: "Come faccio a mantenere l'autorità sulle mie forze di sicurezza dopo l'Evento?"
L'Evento. Questo era il loro eufemismo per il collasso ambientale, i disordini sociali, l'esplosione nucleare, la tempesta solare, il virus inarrestabile che si diffonde annientando le persone (o, peggio secondo loro, i sistemi informatici).
Quest’ultima domanda, quella delle forze di sicurezza, ci occupò per il resto dell'ora. Sapevano che sarebbero state necessarie guardie armate per proteggere i loro palazzi sotterranei dai predoni e dalla folla affamata.
Uno si era già assicurato una dozzina di mercenari armati, per essere immediatamente portato nel suo bunker se avesse dato loro il segnale giusto. Ma come avrebbe pagato le guardie una volta che anche le sue criptovalute fossero state inutili? Cosa avrebbe impedito loro di buttare fuori lui e scegliere il proprio nuovo capo?
I miliardari hanno preso in considerazione di utilizzare speciali casseforti per il cibo, dotate di codici d’apertura che solo loro conoscevano.
O di costringere le guardie a indossare bracciali elettrici in cambio della loro possibilità di vivere nel bunker.
O forse di costruire robot che servissero come guardie e lavoratori, se quella tecnologia avesse potuto essere sviluppata "in tempo".
Ho provato a ragionare con loro.
Ho avanzato argomentazioni pro-socialità a favore della collaborazione e della solidarietà come i migliori approcci alle nostre sfide collettive a lungo termine.
Il modo per convincere le proprie guardie a mostrare lealtà in futuro è trattarli come amici fin da questo momento, ho spiegato. Non investire solo in munizioni e recinzioni elettriche, ma anche nelle persone e nelle relazioni.
Loro ovviamente alzavano gli occhi al cielo davanti a quella che doveva suonare loro come ideologia fricchettona.
Questo era probabilmente il gruppo più ricco e potente che avessi mai incontrato; eppure eccoli qui, a chiedere consiglio a un teorico dei media (tra l’altro, marxista) su dove e come progettare i propri bunker post-apocalittici. È allora che ho colto il significato: almeno per quanto riguardava questi signori, si trattava di un discorso esclusivamente sul futuro della tecnologia.
Prendendo spunto dal fondatore di Tesla Elon Musk che colonizza Marte, dal Peter Thiel del Palantir che prova ad invertire il processo di invecchiamento, o dagli sviluppatori di intelligenza artificiale Sam Altman e Ray Kurzweil che provano a caricare le proprie menti nei supercomputer, si stavano preparando per un futuro digitale che aveva più a che fare con la fuga dalla condizione umana piuttosto che alla creazione di un mondo migliore.
La loro estrema ricchezza e privilegio sono serviti solo a renderli ossessionati dall'isolarsi dal pericolo reale e presente del cambiamento climatico, dell'innalzamento del livello del mare, delle migrazioni di massa, delle pandemie globali, dell’ecofascismo e dell'esaurimento delle risorse. Per loro, il futuro della tecnologia riguarda solo una cosa: fuggire dal resto di noi.
Questo tipo di persone una volta inondava il mondo di piani aziendali follemente ottimisti su come la tecnologia poteva avvantaggiare la società umana; ora hanno ridotto il progresso tecnologico a un videogioco che uno di loro vince trovando la via di fuga.
Sarà Jeff Bezos a migrare nello spazio, Thiel nel suo bunker in Nuova Zelanda o Mark Zuckerberg nel suo metaverso virtuale?
E sì che questi miliardari catastrofisti sarebbero i presunti vincitori dell'economia digitale, i presunti campioni del mondo aziendale della “legge del più forte”!; la stessa legge che ora dà origine ai loro foschi pensieri di chiudersi in una tana fortificata per difendere le proprie ricchezze.
Quello di cui mi sono reso conto è che questi uomini sono in realtà i perdenti.
I miliardari che mi hanno chiamato nel deserto per valutare le loro strategie di autoisolamento non sono i vincitori del gioco economico, quanto le vittime più misere delle sue regole miopi e perverse.
Più di ogni altra cosa, hanno ceduto a una mentalità in cui "vincere" significa guadagnare abbastanza soldi per isolarsi dal danno che creano guadagnando denaro in quel modo.
È come se volessero costruire un'auto che va abbastanza veloce da scappare dal proprio stesso scarico.
Eppure questa logica evasiva al gusto di Silicon Valley - chiamiamola “il Mindset” - incoraggia i propri aderenti a credere che i “vincitori” possano in qualche modo lasciare indietro il resto del mondo.
Prima d'ora i membri più potenti della nostra società non avevano mai capito che l'impatto principale delle proprie conquiste sarebbe stato quello di rendere il mondo stesso invivibile per tutti; né avevano mai avuto le tecnologie attraverso le quali poter pensare di fare a meno degli altri umani.
Il mondo digitale è vibrante di algoritmi e intelligenze che incoraggiano attivamente visioni egoistiche e isolazioniste; e quelli abbastanza sociopatici da abbracciarli sono ricompensati con denaro e controllo sul resto di noi, tali da renderli ancora più traviati: un vero circolo vizioso.
Questa era nuova…
Amplificato dalle tecnologie digitali e dalla disparità di ricchezza senza precedenti che offrono, il Mindset come ideologia consente la facile esternalizzazione del danno agli altri, e ispira un corrispondente desiderio di trascendenza e separazione dalle persone e dai luoghi che sono stati così rovinati.
Invece di dominarci per sempre, tuttavia, i miliardari in cima a queste piramidi virtuali cercano attivamente la fine del gioco. In effetti, come la trama di un kolossal della Marvel, la struttura stessa del Mindset richiede un “endgame”, una fine dei giochi.
Tutto deve risolversi all'uno o allo zero, al vincitore o al perdente, al salvato o al dannato.
Le catastrofi reali e imminenti, dall'emergenza climatica alle migrazioni di massa, rafforzano questa ideologia mitologica, offrendo a questi aspiranti supereroi l'opportunità di essere protagonisti nel finale durante la propria vita.
Il Mindset include anche una certezza basata sulla fede, propria del popolo della Silicon Valley, di poter sviluppare una tecnologia che in qualche modo infrangerà le leggi della fisica, dell'economia e della moralità per offrire loro qualcosa di anche meglio di un modo per salvare il mondo: un mezzo per sfuggire all’apocalisse creata da loro stessi.
Quando mi sono imbarcato sul mio volo di ritorno per New York, la mia mente era sconvolta dalle implicazioni del Mindset. Quali erano i suoi principi principali? Chi erano i suoi veri credenti? Cosa potremmo fare per fermarlo? Prima ancora di atterrare, ho pubblicato un articolo sul mio strano incontro, con un effetto sorprendente.
Quasi immediatamente, ho iniziato a ricevere richieste da parte di svariate aziende che si occupavano di bunkers per miliardari, tutti sperando che li avrei messi in contatto con i cinque uomini di cui avevo scritto. Ho sentito parlare rispettivamente di:
- un agente immobiliare specializzato in edifici a prova di disastro;
- una società che accetta prenotazioni per il suo terzo progetto di abitazioni sotterranee;
- una società di sicurezza che offre varie forme di "gestione del rischio estremo".
Ma il messaggio che ha attirato di più la mia attenzione è arrivato da un ex presidente della camera di commercio americana in Lettonia.
JC Cole aveva assistito alla caduta dell'impero sovietico, così come a quello che era stato necessario per ricostruire una società operaia quasi da zero. Aveva anche servito come padrone di casa per le ambasciate americana e dell'Unione europea e aveva imparato molto sui sistemi di sicurezza e di gestione dei rischi.
Hai sicuramente scatenato un vespaio, mi ha scritto nella sua prima mail. È abbastanza corretto: i ricchi che si nascondono nei loro bunker avranno un problema con le loro squadre di sicurezza... Credo che tu abbia ragione con il tuo consiglio di 'trattare queste la future guardie davvero bene, fin da subito’, ma anche questo concetto potrebbe essere ampliato e credo c'è un sistema che darebbe risultati ancora migliori.
Era certo che l'“Evento” – un cigno grigio, o una prevedibile catastrofe innescata da una superpotenza nucleare o dal collasso di Madre Natura, o semplicemente per caso – fosse inevitabile.
Aveva fatto una cosiddetta ”analisi SWOT” (punti di forza, di debolezza, opportunità e minacce) – e aveva concluso che prepararsi alla calamità richiedeva di prendere le stesse misure necessarie per prevenirne una. Per “coincidenza”, mi ha spiegato, sto giusto allestendo una serie di fattorie-rifugio nell'area di New York. Queste sono progettate sia per gestire al meglio un evento catastrofico sia per creare beneficio nella società in quanto fattorie semi-biologiche. Entrambe a tre ore di auto dalla città, abbastanza vicine da arrivarci comodamente quando succede qualcosa di molto brutto.
Ecco a noi un pioniere con pochi scrupoli, molta esperienza sul campo e parecchia competenza in materia di sostenibilità alimentare. Credeva che il modo migliore per far fronte al disastro imminente fosse cambiare sia il modo in cui ci trattiamo l'un l'altro, sia l’approccio con l'economia e il pianeta in questo momento, sviluppando anche una rete di comunità agricole segrete e totalmente autosufficienti, di proprietà del milionario acquirente e sorvegliate da milizie armate fino ai denti. La versione ecofuturistica delle antiche Curtis, per chi ricordasse i particolari della caduta della civiltà romana.
JC sta attualmente sviluppando due fattorie come parte del suo progetto di rifugio sicuro.
“Farm 1”, vicino a Princeton, è il suo modello da esposizione e, citandolo, funziona bene finché non si superano certe soglie di pericolo.
Il secondo, da qualche parte nel Poconos, deve rimanere un segreto. Meno persone conoscono i luoghi, meglio è, ha spiegato, citando l'episodio di Twilight Zone in cui i vicini in preda al panico irrompono nel rifugio antiaereo di una famiglia durante un’allerta nucleare. Il valore principale del rifugio sicuro è la sicurezza operativa, soprannominata OpSec dai militari. Se (o quando) la catena di approvvigionamento si interrompe, le persone non avranno fonti di cibo. Il Covid-19 ci ha dato la sveglia quando la gente al supermercato ha iniziato a litigare per la carta igienica. Quando si tratterà di una carenza di cibo, sarà... sanguinoso. Ecco perché coloro che sono abbastanza ricchi da investire in bunkers devono essere anche furtivi.
JC mi ha invitato nel New Jersey per vedere il modello da esposizione. Indossa gli stivali, disse. Il terreno è ancora bagnato. Poi mi ha chiesto: Spari?
La fattoria stessa, oltre ad allevare capre e polli, fungeva da struttura di addestramento tattico.
JC mi ha mostrato come impugnare una Glock e sparare a una serie di bersagli esterni a forma di cattivi, mentre si lamentava del modo in cui la senatrice Dianne Feinstein aveva fatto limitare il numero di colpi che si potevano inserire legalmente in un caricatore di pistola.
Ho capito che JC sapeva il fatto suo quando gli ho chiesto dei vari scenari di combattimento. L'unico modo per proteggere la tua famiglia è con un gruppo, ha detto. Questo era davvero il punto centrale del suo progetto: riunire una comunità in grado di arroccarsi in un luogo sicuro per un anno o più, difendendosi da chi non si era preparato quanto i propri membri. JC sperava anche di formare i giovani agricoltori all'agricoltura sostenibile e di assicurarsi almeno un medico e un dentista per ogni comunità fortificata.
Sulla via del ritorno all'edificio principale, JC mi ha mostrato i protocolli di "sicurezza a più livelli" che aveva appreso durante la progettazione delle proprietà dell'ambasciata: una recinzione, segnali di "vietato sconfinare", cani da guardia, telecamere di sorveglianza... tutto inteso a scoraggiare confronti violenti. Si fermò per un momento mentre fissava un’entrata. Onestamente, sono meno preoccupato per le bande armate rispetto a, per esempio, una donna in fin di vita che tiene in braccio un bambino e chiede cibo. Sospirò: Non vorrei trovarmi mai in quel dilemma.
Ecco perché la vera passione di JC non era solo quella di costruire alcune strutture isolate e militarizzate per i milionari, ma di creare prototipi di fattorie sostenibili di proprietà locale che potessero essere copiate da altri e alla fine aiutare a ripristinare la sicurezza alimentare regionale in America. Il sistema di consegna "just-in-time" preferito dai conglomerati agricoli rende la maggior parte della nazione vulnerabile a crisi anche piccole come un'interruzione di corrente o l'arresto dei trasporti. Nel frattempo, la centralizzazione dell'industria agricola ha lasciato la maggior parte delle aziende agricole completamente dipendenti dalle stesse lunghe catene di approvvigionamento dei consumatori urbani. La maggior parte degli allevatori di uova non può nemmeno far crescere i propri polli, ha spiegato JC mentre mi mostrava i suoi pollai. Comprano pulcini. Io invece ho dei galli.
JC non è un ambientalista hippy, ma il suo modello di “business” si basa sullo stesso spirito comunitario che ho cercato di trasmettere ai miliardari: il modo migliore per impedire alle future orde affamate di assaltare i cancelli è procurargli già ora la sicurezza alimentare. Quindi, per tre milioni di dollari, gli investitori non solo ottengono un avamposto di massima sicurezza in cui superare pandemie mortali, tempeste solari o crolli della rete elettrica. Hanno anche una partecipazione in una rete potenzialmente redditizia di franchising agricoli locali che potrebbe in primo luogo ridurre la probabilità di un evento catastrofico. La sua attività farebbe del suo meglio per garantire che ci sia il minor numero possibile di bambini affamati al cancello quando arriva il momento di chiudersi dentro.
Finora, JC Cole non è stato in grado di convincere nessuno a investire nelle sue “American Heritage Farms”. Ciò non significa che nessuno stia investendo in tali schemi. È solo che quelli che attirano più attenzione e denaro generalmente non hanno queste componenti cooperative. Sono più per le persone che vogliono sopravvivere da sole. La maggior parte dei miliardari escapisti non vuole dover imparare ad andare d'accordo con una comunità di agricoltori o, peggio, spendere le proprie rendite finanziando un programma di resilienza alimentare. La loro mentalità è più volta a nascondersi dai problemi che a prevenirli.
Molti di coloro che cercano un rifugio antiapocalittico semplicemente assoldano una delle numerose società di costruzioni per seppellire un bunker prefabbricato rivestito di acciaio da qualche parte in una delle loro proprietà esistenti. La Rising S Company in Texas costruisce e installa bunker e rifugi contro i tornado per un minimo di quarantamila dollari per un nascondiglio di emergenza di 8 piedi per 12 piedi, fino alla serie di lusso "Aristocrat" da otto milioni, completa di piscina e pista da bowling. L'impresa originariamente si rivolgeva alle famiglie che cercavano rifugi temporanei per le tempeste, prima di entrare nel business dell'apocalisse a lungo termine. Il logo dell'azienda, completo di tre crocifissi, suggerisce che i loro servizi sono più diretti ai cristiani evangelici dell'America conservatrice che ai loro gemelli, i miliardari tecnologici che immaginano scenari di fantascienza robotica.
C'è qualcosa di molto più stravagante nelle strutture in cui la maggior parte dei miliardari - o, più precisamente, aspiranti miliardari - investono effettivamente. Una società chiamata Vivos sta vendendo appartamenti sotterranei di lusso in depositi di munizioni della guerra fredda convertiti, silos missilistici e altri luoghi fortificati in tutto il mondo. Come i resort Club Med in miniatura, offrono suite private per singoli o famiglie e aree comuni più ampie con piscine, giochi, film e ristoranti. I rifugi di ultra-élite come l'Oppidum nella Repubblica Ceca affermano di soddisfare la classe dei miliardari e prestando maggiore attenzione alla salute psicologica a lungo termine dei residenti. Forniscono l'imitazione della luce naturale, come una piscina con un giardino simulato illuminato dal sole, una cantina e altri servizi per far sentire i ricchi a casa.
A un'analisi più approfondita, tuttavia, la probabilità che un bunker fortificato protegga effettivamente i suoi occupanti dalla realtà della, beh, realtà, è molto ridotta. Per iniziare, gli ecosistemi chiusi delle strutture sotterranee sono assurdamente fragili. Ad esempio, un giardino idroponico chiuso e sigillato è vulnerabile alla contaminazione.
Inoltre, quando un vaso di terriccio o una fila di colture ha dei problemi, possono essere semplicemente rilavorati e sostituiti; ma le fattorie verticali con sensori di umidità e sistemi di irrigazione controllati da computer stanno bene solo nei piani aziendali e sui tetti delle startup delle città ricche, dove si può reperire i ricambi ai vari pezzi unici.
La "stanza della coltivazione" dell'apocalisse, sigillata ermeticamente, non consente ripensamenti né errori.
Bastano le sole incognite conosciute a deludere ogni ragionevole speranza di sopravvivenza; ma questo non sembra impedire ai ricchi escapisti di provarci. Il New York Times ha riferito che gli agenti immobiliari specializzati in isole private sono stati sopraffatti dalle richieste di informazioni durante la pandemia di Covid-19. I potenziali clienti chiedevano anche se c'era abbastanza terra per fare un po' di agricoltura oltre a installare una pista di atterraggio per elicotteri. Ma mentre un'isola privata può essere un buon posto per aspettare la fine di una piaga temporanea, trasformarla in una fortezza oceanica autosufficiente e difendibile è più difficile di quanto sembri. Nel mondo attuale, le comunità sviluppate nelle piccole isole dipendono totalmente dalle consegne aeree e marittime per i beni di prima necessità. I pannelli solari e le apparecchiature di filtraggio dell'acqua richiedono manutenzione a intervalli regolari, e talvolta ci sono pezzi da sostituire. I miliardari che risiedono in tali luoghi sono più, non meno, dipendenti dalle catene di approvvigionamento rispetto a quelli che risiedono nella civiltà industriale.
Sicuramente i miliardari che mi hanno invitato in mezzo al deserto per chiedermi un consiglio sulle loro strategie di “fuga” erano consapevoli di queste limitazioni. Potrebbe essere stato tutto una specie di gioco? Cinque uomini seduti attorno a un tavolo da poker, ognuno dei quali scommetteva che il suo piano di fuga fosse il migliore?
Ma se ci fossero stati solo per divertimento, non mi avrebbero chiamato: avrebbero fatto venire l'autore di un fumetto su un’apocalisse zombie.
Se avessero voluto testare i loro piani di sicurezza, avrebbero assunto un esperto di sicurezza di Blackwater o del Pentagono.
Sembravano volere qualcosa di più. Il loro linguaggio andava ben oltre le questioni di preparazione alle catastrofi e sfiorava la politica e la filosofia: parole come individualità, sovranità, governo e autonomia.
Questo perché non erano tanto le loro strategie di autoisolamento che mi avevano chiesto di valutare, quanto la filosofia e la matematica che stavano usando per giustificare il loro impegno di fuga. Stavano elaborando quella che ho chiamato l'”equazione dell'isolamento”: potevano guadagnare abbastanza soldi per isolarsi dalla realtà che stavano creando guadagnando soldi con i propri affari?
C'era qualche giustificazione valida per sforzarsi di avere un tale successo da poter semplicemente lasciarsi alle spalle il resto dell’umanità, apocalisse o meno? O forse, era stata sempre questa la loro intenzione?
Forse l'apocalisse non è qualcosa a cui stanno cercando di sfuggire, ma una scusa per realizzare il vero obiettivo del “Mindset”: elevarsi al di sopra dei “comuni mortali” e allontanarsene per sempre.
#DAGLISTUDENTI:
Che tu sia un "fatalista" o un "ottimista" del clima, è meglio prepararsi al peggio
(traduzione dell'articolo di Bill McGuire sul TheGuardian)
Sebbene sia improbabile che si realizzino le minacce più estreme, attenersi al principio di precauzione è semplicemente buon senso.
Il nostro mondo è sulla buona strada per un cataclisma climatico. Oppure no…?
Non molto tempo fa, la discussione sul riscaldamento globale era chiara: chi credeva che stesse accadendo e che fosse il risultato dei colossali volumi di carbonio emessi dalle attività umane, e chi lo negava.
Man mano che, anno dopo anno, il graduale collasso del nostro clima un tempo stabile è diventato più evidente, tuttavia, la negazione è diventata sempre più irrilevante e si stanno tracciando nuove linee di discussione.
Mentre il caldo torrido diffuso, la siccità e gli incendi hanno sempre più spesso portato il peggioramento climatico sotto gli occhi dell'opinione pubblica, hanno anche accresciuto le tensioni tra coloro che chiamo “ottimisti” del clima, che cercano di minimizzare quello che potrebbe accadere, e altri, “fatalisti catastrofisti” (o “doomers”), che sono sinceramente preoccupati che il futuro climatico possa essere catastrofico, e rappresentare una minaccia esistenziale per la civiltà e forse l'umanità stessa.
Questa disputa crescente e sempre più aspra ha conseguenze potenzialmente serie per tutti noi.
Gli “ottimisti”, secondo alcuni, sono pericolosi quasi quanto i negazionisti, perché c’è il rischio che l'accettazione del loro messaggio, cioè “che le cose non sono così brutte come potrebbero sembrare”, ci porti ad essere completamente impreparati se il collasso climatico dovesse girare per il peggio.
D'altra parte, ci sono molte persone là fuori, inclusi alcuni eminenti scienziati del clima, che chiamano coloro che propagandano scenari più estremi come inutili cassandre che non sono al passo con la realtà e non vogliono altro fare che spaventarci a morte e paralizzarci psicologicamente.
Il “doomismo” nell'arena climatica non è una novità e, guardando il clima estremo che imperversa in gran parte del mondo quest'estate, è facile capire perché molti di noi possono avere paura del futuro. Ma i sentimenti di sventura non sono solo vaghe intuizioni di qualcosa di brutto in agguato. Alcuni nella comunità delle scienze del clima sono stati anche bollati come jellatori, anche dai colleghi, ma le loro previsioni di un futuro desolato e devastato dal clima sono tuttora controllate e pubblicate su riviste accademiche.
In un articolo del 2013, l'illustre scienziato del clima James Hansen e i suoi coautori hanno stimato che bruciare tutti i combustibili fossili attualmente disponibili provocherebbe un riscaldamento incontrollabile e gravi condizioni climatiche a cui non potremmo adattarci, rendendo la maggior parte del pianeta inabitabile.
Un altro studio, pubblicato nel 2018, ha avvertito che potremmo superare un punto critico oltre il quale nessuna azione futura sarebbe in grado di impedire una marcia verso un "Pianeta Serra", che alla fine culminerebbe nella temperatura globale di gran lunga più alta da oltre un milione di anni.
Una conclusione meno estrema, ma comunque inquietante, è stata raggiunta in un documento del 2020 che dimostrava che il mondo si trova su una traiettoria corrispondente allo scenario peggiore tra quelli individuati dall’IPCC, il Pannello intergovernativo sui cambiamenti climatici (ONU).
Tale scenario presupponeva una riduzione nulla delle emissioni e ci vedeva continuare allegramente con il solito andazzo, risultando in un catastrofico aumento della temperatura di 5°C o più entro la fine del secolo. Le azioni sulle emissioni stanno ancora avvenendo con troppa lentezza, ma è già chiaro che non siamo collettivamente così stupidi da non fare nulla. Tuttavia, affermano gli autori, considerando la nostra scarsa comprensione dell'impatto dei circuiti di feedback che rafforzano il riscaldamento, sarebbe sensato considerare anche l’eventualità più tetra.
Le tensioni tra “fatalisti” e “ottimisti” sono state particolarmente accese di recente, dopo la pubblicazione di un articolo i cui autori hanno calcolato l'impensabile, concludendo che gli scenari minacciosi di "game over del clima" - tra cui il collasso della società e l'estinzione dell'umanità - sono stati finora "pericolosamente inesplorati" e chiedono all'IPCC di compilare un rapporto speciale sugli scenari finora scartati perché troppo tetri.
Tali appelli sono un anatema per molti “ottimisti” del clima, i quali ritengono che esprimere tali preoccupazioni ostacoli l'azione sulle emissioni, perché promuoverebbe la paura e la sensazione che sia già troppo tardi per fermare il riscaldamento globale. Altri “ottimisti” hanno semplicemente una visione speranzosa – alcuni direbbero ingenua – e sono fiduciosi che l'umanità supererà questo problema, come ha fatto con tutti gli altri.
Nessuna delle due prospettive (“fatalista” e “ottimista”) è utile e, in effetti, ognuna delle due potrebbe peggiorare la situazione.
Stabilire un approccio che soddisfi sia gli “ottimisti” che i “fatalisti” è difficile e forse irrealistico. La verità è che è molto improbabile che gli scenari più estremi di collasso del clima si realizzino, e anche gli scienziati che li hanno evidenziati concordano al riguardo. Tuttavia, sono possibili, e come tali abbiamo il dovere di affrontarli, se non altro perché l'adesione al principio di precauzione rende evidente quale scelta sia di buon senso.
Anche se sarebbe bello pensare che stiamo esagerando con la minaccia di un collasso climatico, seguire una linea di ottimismo significherebbe corteggiare il disastro. Questo è particolarmente vero in quanto sembra esserci una crescente propensione a etichettare come “fatalista” praticamente qualsiasi cosa al di fuori dell'attuale consenso. Ma il consenso non equivale ad avere ragione. In effetti, la ricerca ha rivelato che sia gli scienziati del clima come popolo (di cui mi considero membro), sia i rapporti dell'IPCC, sottovalutano la velocità e l'intensità con cui si sta verificando il peggioramento climatico.
La realtà è che la nostra comprensione dei potenziali punti critici e dei circoli viziosi rimane troppo limitata per poter essere sicuri di quanto grave finirà per rivelarsi il peggioramento climatico. Inoltre, è più probabile che sminuire il potenziale impatto del collasso climatico porti a una maggiore reticenza della società a ridurre le emissioni, rispetto a qualsiasi potenziale esagerazione delle conseguenze.
Una via di mezzo non sarebbe a vantaggio di nessuno; quindi, come per la maggior parte delle situazioni in cui il rischio è difficile da quantificare, c'è solo una via sensata da seguire: sperare per il meglio, mentre si previene il peggio.
Bill McGuire è professore emerito di rischi geofisici e climatici all'UCL e autore di "Hothouse Earth: an Inhabitant's Guide" ("Pianeta Serra: una guida per abitarci")
#DAGLISTUDENTI:
Opportunità:
A Bonn con Plant-for-the-planet
(di Alba Moratto)
Tra meno di due settimane, dal 19 al 23 ottobre 2022 si terrà il quinto Youth Summit di Plant-for-the-Planet, finalmente in presenza a Bonn dopo tre anni di lockdown.
Per chi non conoscesse l’associazione, siamo nati nel 2007 da un’idea molto semplice di un bambino di 9 anni che, in seguito a una ricerca scolastica, aveva scoperto la storia di Wangari Maathai, donna keniota premio Nobel per la pace. Wangari ha piantato 30 milioni di alberi in 30 anni, dando così lavoro alle donne del territorio.
Felix ha quindi pensato, dal momento che gli alberi, come sappiamo, si nutrono di CO2, che si sarebbe potuto fare qualcosa di buono per il pianeta a partire da questo. Il suo primo obiettivo è stato quello di piantare 1 milione di alberi pure lui, ma ovviamente non si è fermato qui.
Dopo aver parlato alle Nazioni Unite (Il sogno verde di Felix Finkbeiner - discorso alle Nazioni Unite, febbraio 2011 (sub ITA) - YouTube), ha chiesto e ricevuto la collaborazione di altri bambini e ragazzi in tutto il mondo, che ci hanno creduto assieme a lui e che hanno deciso di fare la loro parte.
Questi bambini sono cresciuti, e anche se continuiamo a formare nuovi ambasciatori per la Giustizia Climatica, una volta all’anno ci troviamo per essere aggiornati sulle ultime news, oppure per rilanciare qualche progetto. Ad esempio, il mio primo Summit nel 2018 ci ha visto lanciare la Trillion Tree Champaign, con cui ci impegniamo, complessivamente con altre associazioni ambientaliste, a riforestare 1000 miliardi di alberi entro il 2030. Anche questo, è un progetto molto ambizioso.
Oltre alla piantumazione degli alberi, per la maggior parte a carico di contadini a cui va come stipendio metà delle donazioni che l’associazione (no profit), una parte di noi è impegnata in uno studio di ricerca in Messico, nella penisola dello Yucàtan, dove si cerca di capire quali siano le condizioni migliori per la crescita degli alberi. La cosa stupenda è vedere quanto questa squadra sia multidisciplinare, e intersechi le materie che stiamo studiando a Scienze Ambientali (io sono al secondo anno della triennale). È davvero uno studio a 360 gradi quello che si sta facendo in Messico.
Oltre agli aggiornamenti sulla situazione attuale, spendiamo anche del tempo nel migliorarci, nel far emergere i nostri di forza e nel lavorare sui nostri punti deboli. Stanno facendo crescere anche noi, oltre agli alberi.
Quest’anno parte del nostro lavoro è in preparazione alla Cop27, alla quale alcuni di noi parteciperanno il mese prossimo.
Vi parlo anche un po’ di me. Mi chiamo Alba Margherita e faccio parte di questa associazione dal marzo del 2014, e dal 2019 sono socia di Plant-for-the-Planet Italia. Il mio ruolo in quanto socia è quello di occuparmi del settore giovani, ovvero tutto ciò che concerne la preparazione delle One Day Academies, dove vengono formati principalmente bambini tra i 9 e i 13 anni. Inoltre, sono referente Italia, quindi il mio ruolo è anche quello di rappresentare l’Italia all’estero e riportare quanto succede nel mondo in Italia. Un po’ come Mercurio!
Quest’anno a Bonn saremo circa una novantina di persone da tutto il mondo (Colombia, Filippine, India, Messico, Germania, Irlanda, Costa d’Avorio…), e quest’anno Plant-for-the-Planet consente anche ai non-ambasciatori di partecipare, perciò se volete partecipare anche voi direi che questa può essere una buona occasione!
Il link del padlet (https://padlet.com/youthsummit/1a1jeuazcqrtffa9) vi potrà dare qualche informazione in più. Normalmente il programma è molto più dettagliato, ma quest’anno hanno lasciato scegliere a noi le attività, quindi evidentemente stanno finendo di accordarsi con coloro che dovranno effettuare gli interventi.
Per quanto riguarda il discorso spese, penso purtroppo che inizialmente si debba comprare il biglietto autonomamente e poi recuperare parte o tutto grazie alle raccolte fondi.
Per qualsiasi info, contattatemi pure (cell. +39 366 932 0013)
#DAGLISTUDENTI:
Riassunto delle elezioni (e perché nessun partito è sereno)
(di Anonimo)
Pubblichiamo di seguito l'opinione di una persona che ha voluto rimanere anonima dopo aver controllato che rispettasse i parametri di questo spazio; ovviamente ribadiamo che le opinioni di ogni articolo politico appartengono sempre e solo all'autore e non per forza coincidono con quelle della lista e del giornalino di campus.
Per la prima volta da quando c’è memoria, il popolo italiano ha votato per il Parlamento a inizio autunno. Generalmente si fa a fine inverno, intorno a marzo, ma questa volta il governo è caduto in estate, non erano possibili nuove maggioranze, e non si poteva certo trascinare l’attuale governo tecnico per sette mesi.
Perché si è votato adesso
Recap per chi in estate avesse (comprensibilmente) staccato la tv: il Movimento 5 Stelle, accortosi che appoggiare un governo Draghi totalmente diverso dai propri ideali gli fa perdere elettori, è tentato di andare all’opposizione dopo più di 4 anni di governo. Il suo ex capo politico (Luigi Di Maio) litiga con quello nuovo (Giuseppe Conte) e decide di fondare un suo partito fedele a Mario Draghi; l’ex premier invece inizia una guerriglia interna al governo, chiedendo la tutela di misure care al M5S (come il Superbonus e il Reddito di cittadinanza) in cambio del proprio appoggio d’ora in poi.
Dopo una litigata tra Draghi e Conte, il Movimento 5 Stelle si astiene sul Decreto Aiuti; scatta così la mozione di sfiducia al governo, che nei piani di entrambi (ciascuno per i propri motivi) avrebbe portato ad un rimpasto di governo: parlamentari e ministri pentastellati avrebbero lasciato la maggioranza, il governo si sarebbe retto sui restanti partiti (Partito Democratico, Lega, Forza Italia).
Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, però, colgono la palla al balzo (stare al governo con Draghi penalizzava anche loro, a favore di Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia) e i loro parlamentari non votano la fiducia: Draghi, ora sostenuto solo dal PD e da alcuni fuoriusciti da Forza Italia, non ha più i numeri per governare e si dimette.
Le elezioni (anticipate) della nuova legislatura vengono fissate per il 25 settembre: in via eccezionale i partiti hanno meno di due mesi per accordarsi in coalizioni, scrivere i programmi e fare campagna elettorale.
Il vincitore avrà da occuparsi immediatamente della Legge di Bilancio (scadenza: 31 dicembre), dei fondi europei del PNRR (200 miliardi di euro che se non vengono investiti in tempo, vanno restituiti all’UE) e della difficile gestione di un inverno a corto di gas a buon prezzo (per rispondere alle sanzioni commerciali dell’Unione Europea conseguenti all’invasione russa dell’Ucraina, Putin ci ha alzato i prezzi e quasi chiuso i gasdotti, e le soluzioni energetiche attuali non bastano al momento a compensare).
Tralasciamo la campagna elettorale (definita da molti come “la più squallida di sempre”) e vediamo ora i risultati del conteggio dei voti: ci accorgeremo che ogni partito ha i suoi motivi per non gioire troppo.
BONUS: Partito dell’Astensione
In costante calo dall’inizio della Repubblica, questa volta l’affluenza è addirittura crollata: -9% dal 2018, quattro milioni e mezzo di votanti in meno su cinquantuno milioni di aventi diritto. Rimanendo a casa, il 36% di chi ha la scheda elettorale ha di fatto decretato la vittoria del Partito dell’Astensione, che se davvero esistesse avrebbe vinto in praticamente tutti i collegi elettorali, popolando il Parlamento di sagome di cartone.
CDX: la vittoria senza trionfo
La coalizione di centro-destra, dopo mesi di sondaggi favorevoli, è la scontata vincitrice delle elezioni. Non ha ricevuto molti più voti del 2018, ma è stata favorita dal fatto che gli altri concorrenti ne hanno ricevuti molti di meno e per giunta si sono presentati separati, regalandole di fatto la quasi totalità dei seggi uninominali (un terzo del parlamento).
I tre principali partiti della nuova maggioranza hanno i numeri per governare insieme, ma non hanno raggiunto i due terzi al Parlamento necessari a cambiare la Costituzione, e non li raggiungeranno neppure con l’eventuale aiuto del centro incarnato da Azione Italia Viva di Carlo Calenda e Matteo Renzi.
Questo ridimensiona il progetto di trasformare l’Italia in una repubblica semipresidenziale.
Fratelli d’Italia: saper aspettare premia
Risultati elezioni politiche 2018 -> 4% circa
Risultati elezioni europee 2019 -> 6% circa
Risultati elezioni politiche 2022 -> 26% circa (primo partito più votato)
Erede del Movimento Sociale Italiano (partito neofascista del secolo scorso), la frangia più nazionalista e conservatrice del centrodestra ha saputo raccogliere lentamente i voti persi dagli altri due partiti della coalizione (specialmente durante il loro appoggio al governo Draghi), e in più incassare il voto di molti antivaccinisti a seguito di dichiarazioni ambigue riguardo la futura gestione della pandemia.
Il suo successo è stato quello di saper imitare quello che la Lega e il M5S avevano fatto nel 2018, dipingendosi come un’alternativa “nuova” ai partiti che erano stati al governo precedentemente; grande ruolo in quest’immagine ha avuto Giorgia Meloni, figura politica non proprio nuova (ha già svolto numerosi mandati al Governo e in Parlamento) ma finora poco conosciuta, che ha saputo porsi come la “wanna be” prima premier donna nella storia d’Italia.
Fratelli d’Italia è il partito più di destra che abbia mai guidato un governo italiano, e può darsi che venga presto emulato all’estero: questo non significa però che avrà gioco facile nell’imporre la propria agenda in Italia e in Europa, perché se nel continente Meloni è già isolata per il suo supporto alla semi-dittatura dell’ungherese Viktor Orban, nella penisola la Prima Ministra “donna, madre e cristiana” dovrà tenere testa ai due ingombranti alleati di governo, che faranno di tutto per riprendersi il consenso strappatogli dai nazionalisti.
Lega Salvini Premier: il perdente con il premio di consolazione
Risultati elezioni politiche 2018 -> 17% circa (terzo partito più votato)
Risultati elezioni europee 2019 -> 34% circa (primo partito più votato)
Risultati elezioni politiche 2022 -> 9% circa
Nemmeno il più gramo dei sondaggi ha potuto annusare il tonfo di un partito che, doppiato dall’alleato(a) di coalizione persino nella propria terra natia, è ormai l’ombra di ciò che era uscito dalle europee di tre anni fa, in una penosa emulazione del PD del periodo 2016-2018.
Un partito, quello leghista, che presto cambierà nome in quanto il suo uomo simbolo ha compiuto la propria parabola elettorale ed è ormai reclamato come bestia sacrificale dai governatori ed eurodeputati che egli stesso ha fatto eleggere.
Dopo una fortuna politica costruita interamente nel 2019 sull’allora “emergenza migranti”, sono accadute l’affossamento del governo Conte 1, le idee ambigue sulla pandemia, la partecipazione al governo “del banchiere Draghi” e infine il sospetto rapporto con la Russia; scivolate che hanno pesato quasi quanto la perdita del genio della comunicazione, Morisi, in seguito ad uno scandalo su cocaina e festini spinti con minorenni stranieri. Nulla che sia stato sanato dall’aver anticipato le elezioni di qualche mese.
Dopo che gli elettori precedentemente strappati a Forza Italia sono passati ancora più a destra, e dopo che anche parte dello “zoccolo duro” del Nord Italia è rimasto a casa per protesta contro la mancata autonomia del Veneto e della Lombardia, la Lega è per forza di cose chiamata a rinnovarsi, e scegliere un nuovo leader in grado di saper mettere bene a frutto il patrimonio istituzionale collezionato all’inizio della legislatura.
Premio di consolazione: per una curiosa casualità legata al funzionamento dei seggi uninominali e plurinominali, la Lega ha ottenuto in Parlamento molti più seggi di quanti gliene spettino a livello percentuale all’interno della coalizione di centro destra; si tratta comunque però di senatori e deputati che potrebbero decidere di sedersi con Fratelli d’Italia all’insediamento della nuova legislatura.
Forza Italia: il nonnetto ricco che non muore mai
Risultati elezioni politiche 2018 -> 14% circa
Risultati elezioni europee 2019 -> 9% circa
Risultati elezioni politiche 2022 -> 8% circa
Dopo aver dominato la politica italiana per più di vent’anni, il partito-azienda che a fine secolo scorso aveva diffuso le proprie idee liberiste con tv e giornali privati sopravvive ai pronostici e rimanda il proprio tramonto a data da destinarsi, resistendo all’erosione tentata da liste più al centro come Noi Moderati e Azione Italia Viva.
Non importa il contesto politico: finché in grado di parlare, Silvio Berlusconi è il riferimento di moltissimi anziani conservatori, quasi nessuno dei quali ha seguito i fuoriusciti in Azione Italia Viva (come Gelmini e Carfagna) dovuti allo spostamento a destra del partito durante la sfiducia prima a Conte 2 e poi a Draghi.
La vita di Forza Italia è legata letteralmente a quella del proprio capo politico che, pur avendo perso consensi negli ultimi anni, con la propria notorietà è riuscito tranquillamente a far eleggere la propria nuova moglie in una circoscrizione dove lei non aveva mai messo piede; un mito politico, dietro cui la destra e il centro aspettano affamati, pala in mano, guardando con impazienza l’orologio in attesa di spartirsi i resti.
Noi Moderati: un bel tentativo e basta
Risultati elezioni politiche 2022 -> 1% circa
La propaggine del centrodestra nel centro civico e cattolico, un esperimento nato da politici di Forza Italia per arginare il nuovo centro semiprogressista di Renzi e Calenda: nonostante le fortune politiche di Toti (Presidente Regione Liguria) e Brugnaro (Sindaco di Venezia), il risultato è stato quasi invisibile ovunque tranne che nella circoscrizione dell’ex-Serenissima.
Dopo le elezioni comunali, le liste civetta di norma si sciolgono: per questo è impossibile prevedere le mosse di questo “upgrade” del civismo di centrodestra a livello nazionale, che può riconfluire in Forza Italia o aspettare la sua fine per provare a costruire con i rimasugli un nuovo polo cattolico e moderatamente conservatore.
Centro: la simbiosi del “bene ma non benissimo”
Se gran parte del frammentatissimo centro ha preso posizione a destra o a sinistra, vi è stato un tentativo di costruire dal nulla un Terzo Polo indipendente seguendo la popolarità di Mario Draghi e del suo metodo economico, detto “agenda Draghi”. L’avventura, rovinata dal rifiuto di “Super Mario” di tornare in politica, non è stata un fallimento ma neanche un enorme successo.
Azione Italia Viva: la coppia che scoppia
Risultati elezioni politiche 2022 -> 8% circa
Il novello partito del centro è nato da un patto tra due ex pezzi grossi della frangia liberista del PD: Renzi, già in Parlamento con Italia Viva (partitino staccatosi dal Partito Democratico e responsabile della caduta del Conte 2), garantiva la partecipazione alle elezioni senza il bisogno di raccogliere firme; Calenda, povero di militanti ma ricco di attenzione mediatica perché relativamente nuovo alla tv, portava in dote il voto del centro semiprogressista favorevole al nucleare e/o affezionato al mago dell’economia Mario Draghi.
Dopo aver preso per il naso un Letta affamato di alleanze al centro, il Terzo Polo si è fissato l’obiettivo di base di entrare (o meglio, restare) in Parlamento e superare l’odiata e insultata nemesi composta da Verdi e Sinistra Italiana; se questo traguardo è stato raggiunto non è stata però sbloccata la doppia cifra, né un numero di seggi sufficienti a negoziare con la destra generose concessioni politiche in cambio di un aiutino a cambiare la Costituzione. Questa vittoria a metà non garantisce che i due centristi, i cui partitini entrano in Parlamento separatamente (a differenza di Verdi e Sinistra Italiana, guarda caso), collaborino sempre tra loro: la speranza di ciascuno dei due è probabilmente di riuscire a fare shopping nel possibile futuro centro allargato, comporre un vero Terzo Polo in grado di fare da ago della bilancia in ogni elezione territoriale e politica, e sottomettere l’altro prima che ci si inizi a pestare i piedi.
CSX: andarsele a cercare
Il rumore del pianto, già ascoltato in casa Lega, si fa di nuovo forte avvicinandosi alle macerie della coalizione di centrosinistra, dove il sollievo per i mancati due terzi alla destra è l’unica consolazione al fatto che una strategia già fallimentare nel 2018 ha dato risultati ancora peggiori nel 2022 (che sorpresa!); risulta infatti che buona parte degli astenuti (probabilmente giovani e lavoratori) una volta votasse a sinistra, e che ora abbia rinunciato alle mollette per il naso in favore di una domenica a casa come forma di protesta politica verso un campo progressista inconsistente.
Non tutto il male viene però per nuocere: se Impegno Civico e +Europa non hanno molte speranze di recuperare terreno, il Partito Democratico e l’Alleanza Verdi-Sinistra Italiana sono letteralmente costretti a un rinnovamento e a una convergenza con la società civile che potrebbero cambiare le carte entro la prossima tornata elettorale (Regionali 2023, Comunali ed Europee 2024 e, in caso di rotture interne alla destra, anche Politiche anticipate).
Impegno Civico: dal trionfo all’irrilevanza
Risultati elezioni politiche 2022 -> 1% circa
In una parabola simile e contemporanea a quella di Matteo Salvini, Luigi di Maio, l’acclamato vincitore delle elezioni del 2018 con un Movimento 5 Stelle al 32%, si ritrova senza seggi in Parlamento e senza futuro politico neppure nella propria città.
Fautore prima di una svolta a destra dei pentastellati, e poi di un governismo che li ha portati ad appoggiare il simbolo di ciò che avevano giurato di combattere (l’ex presidente della BCE Mario Draghi), l’ex venditore di bottigliette allo stadio di Pomegliano ha infine abbandonato il partito in crisi d’identità fondando un gruppo parlamentare fedele al governo.
La sua giravolta rispetto alle posizioni con cui era stato eletto alle Parlamentarie del M5S gli è costata l’intera base elettorale; e se l’aiuto di un nuovo alleato centrista (tale Tabacci) gli ha permesso di correre alle elezioni senza raccogliere firme, l’alleanza con quello che fino a qualche anno prima aveva definito sprezzantemente “il partito di Bibbiano” non ha giovato alla sua figura in cui ormai non si riconosce quasi nessuno dei vecchi sostenitori.
+Europa: nulla di nuovo all’orizzonte
Risultati elezioni politiche 2018 -> 1% circa
Risultati elezioni europee 2019 -> 3% circa
Risultati elezioni politiche 2022 -> 3% circa
Il sogno di creare, a partire dalle ceneri dei Radicali Italiani, un partito trasversale europeista si è avverato molto tempo fa; quello di vederlo raggiungere il Parlamento pure; quello di vederlo contare qualcosa, purtroppo per Emma Bonino e i suoi sostenitori, no; neanche a queste ultime elezioni.
Schiacciato tra due formazioni politiche già fortemente europeiste (Forza Italia e Partito Democratico), +Europa ha scelto di allearsi con Letta insieme alla coppia, anch’essa filoUE, Renzi-Calenda; quando poi quest’ultima ha rotto quasi subito il patto col PD per paura di vedere nella propria coalizione anche gli odiati rossoverdi, il partitino europeista ha deciso di non seguirla e di criticarla con le parole “capricci” ed “ego smisurato”.
Purtroppo l’etica non paga, l’attenzione mediatica sì: perciò i voti del centro progressista cui puntava la Bonino sono andati invece ai due fuoriusciti del PD, nonostante i programmi dei due partiti fossero quasi uguali.
La stessa anziana capopartito ha mancato l’elezione al Parlamento e la soglia del 3% non è stata raggiunta per una manciata di voti; ma questo non sembra scoraggiare la formazione politica, che in tutta probabilità continuerà a presentarsi nelle elezioni successive sperando che la fortuna giri.
Partito Democratico: il meme del ragazzo che si mette il bastone nella ruota della bici
Risultati elezioni politiche 2018 -> 19% circa (secondo partito più votato)
Risultati elezioni europee 2019 -> 23% circa (secondo partito più votato)
Risultati elezioni politiche 2022 -> 19% circa (secondo partito più votato)
Il partito cui è iscritto il 70% dei sindaci d’Italia si dispera senza sorpresa di fronte al risultato politico peggiore della propria storia: rispetto al 2018, circa 800.000 elettori hanno disertato le urne o sono andati altrove, in protesta contro una classe dirigente che ha tentato di ricucire un legame con la base progressista solo verso le elezioni, per giunta con una strategia politica che non ha lasciato ai militanti (storicamente più anziani e di sinistra del resto del partito) neppure una vaga speranza di evitare la vittoria dei “post-fascisti”.
La scelta dei vertici ultragovernisti di non allearsi con gli ex alleati del Movimento 5 Stelle (rei di aver facilitato la caduta di un governo in cui “almeno si poteva difendere i fondi del PNRR dalla destra”) e di cercare un’alleanza con i “rinnegati” Renzi e Calenda, è risultata nel disastroso tira-e-molla di questi ultimi, nella fuga di voti verso la sinistra e il centro, e nella ricerca spasmodica e tardiva di un’accozzaglia di partitini-tampone per afferrare qualche seggio uninominale in più.
Altro sbaglio l’atteggiamento incoerente verso gli elettori: non si può paracadutare i dinosauri della politica nei seggi “sicuri” delle regioni rosse per cercare i voti della classe agiata, e poi ricattare la base giovane e/o di sinistra con un “o noi o la destra”. Ma questo era già accaduto nel 2018.
Il regista della cocente sconfitta al gusto di dejavù, Enrico Letta, si è dimesso poco dopo lo spoglio, auspicando un rinnovo del partito che lui non aveva neppure tentato: un congresso urgente deciderà la nuova faccia del Partito Democratico, che può scegliere di cercare spazio in un centro già affollato “per arginare la destra” e riprendere i voti persi ad Azione Italia Viva oppure riscoprire i valori della sinistra per inseguire giovani e lavoratori, ex bacini sicuri ora in fuga verso i 5 Stelle, la destra o l’astensione.
Alleanza Verdi e Sinistra Italiana: la mancata sorpresa
Risultati elezioni politiche 2019 -> 2% circa + 2% circa (erano separati)
Risultati elezioni politiche 2022 -> 4% circa
Un tempo acerrimi nemici (vedi il conflitto salute vs lavoro ai tempi del processo sull’ILVA), i due partitini si erano alleati a inizio estate sotto la bandiera del “cocomero” (verde fuori e rosso dentro) per lanciare un’idea di implicito ecosocialismo e, più realisticamente, per sommare i rispettivi elettorati e superare la soglia di sbarramento del 3% per entrare in Parlamento.
La missione è compiuta e a festeggiare sono specialmente i Verdi che non vedevano un seggio dal 2008; ma l’alleanza rossoverde (che continuerà dopo le elezioni) ha sulle spalle anche la delusione di un mancato exploit elettorale: nonostante il programma super ambizioso su ambiente e diritti civili, i voti delle comunità ecologista e del movimentismo sociale (che, secondo un sondaggio di giugno, avrebbero potuto significare addirittura un 12% dei voti) non sono stati infatti raccolti e sono rimasti dispersi tra i partiti vicini e l’astensione.
Il motivo è non solo lo scarso radicamento sul territorio (i membri dei circoli locali spesso sono sparuti, molto anziani e incapaci di parlare ai giovani dei movimenti) ma anche la mancanza di un’iniziativa politica: se, ad esempio, avessero battezzato la propria co-portavoce Eleonora Evi (messa in ombra dal suo collega Angelo Bonelli durante l’intera campagna elettorale), giovane, bionda e progressista, come “l’altra Meloni” o “la anti-Meloni” e avessero proposto agli altri partiti di appoggiare tale donna-simbolo come proposta di prima premier donna alternativa a quella sostenuta dalla destra, difficilmente avrebbero ottenuto rifiuti; e un fronte progressista compatto e attrattivo per i giovani avrebbe forse avuto la meglio sulla coalizione conservatrice. Questa una sola delle possibili strategie cui gli anziani vertici dei due partitini hanno rinunciato, preferendo il tradizionale ruolo ancillare a sinistra del Partito Democratico per non rischiare la mannaia del “voto utile”.
L’alleanza rossoverde può ora investire parte degli stipendi dei propri nuovi parlamentari per rendere più solida e articolata la propria struttura organizzativa: ma senza una svolta trasversale e più “young-friendly”, non potrà sperare di ottenere granché nel futuro.
Altri partiti degni di nota:
Movimento 5 Stelle: il rimbalzo a sinistra
Risultati elezioni politiche 2018 -> 33% circa (primo partito più votato)
Risultati elezioni europee 2019 -> 17% circa (terzo partito più votato)
Risultati elezioni politiche 2022 -> 15% circa (terzo partito più votato)
A fare il paio con un PD che si dispera per la perdita di “solo” ottocentomila elettori rispetto al 2018, il Movimento 5 stelle festeggia nonostante abbia incassato sei milioni di voti in meno di cinque anni prima. Come è possibile?
Il partito “né di destra né di sinistra” fondato più di un decennio fa dal comico Giuseppe Grillo aveva ricevuto alle ultime politiche sia i voti della sinistra delusa dal PD sia della destra antisistema che voleva il Parlamento “aperto come una scatoletta”, che andavano ad aggiungersi a quelli della base militante giustizialista ed ecologista e a quelli degli antivaccinisti di ogni parte della penisola: una valanga di voti, specialmente in quel Sud Italia speranzoso di un Reddito di cittadinanza.
Governare prima con la destra leghista (perdendo i delusi del PD) che poi con il centrosinistra piddino in fase di pandemia (che ha messo in fuga i sostenitori di destra e gli antivaccinisti) l’ha ridotto alla base di partenza, al punto che durante il paradosso dell’appoggio al Governo Draghi i sondaggi lo davano in declino irrecuperabile, sotto il 10%.
Aver raggiunto, dopo pochi mesi, il 15% a livello nazionale è un miracolo avverato dalla figura di Giuseppe Conte: marginale nel suo primo governo ma noto a tutti durante la pandemia di Covid-19, dopo l’abbandono di Di Maio l’ormai ex premier ha avuto le mani libere per una svolta a sinistra “per il bene dei poveri e del sud”; un novello Robin Hood, padre adottivo del Reddito di Cittadinanza e del Superbonus, che ha saputo far dimenticare i Decreti Sicurezza del 2019 e piazzarsi a sinistra del Partito Democratico.
Terza forza politica del paese, disposta all’alleanza regionale con il PD e l’Alleanza Verdi-Sinistra ma non con il Terzo Polo, il Movimento 5 Stelle punterà sicuramente al radicamento nel Sud Italia e nelle fasce povere (altrimenti terreno fertile per i rossoverdi); ma non potrà mai più aspettarsi un exploit come quello del 2018.
Unione Popolare: chi???
Risultati elezioni politiche 2018 -> 1% circa (allora denominata “Potere al Popolo”)
Risultati elezioni politiche 2022 -> 1% circa
È tradizione decennale che, ad ogni elezione politica, una buona parte delle mille bande della sinistra antagonista si riunisca intorno ad un/a/u leader momentaneo/a/u e si conti attraverso la sempre necessaria prova di forza della raccolta firme per l’ammissione alle elezioni, per poi prendere percentuali risibili e disciogliersi borbottando qualcosa contro “il voto utile”.
Il litigioso e sempre entusiasta popolo semi-anarchico dei centri sociali italiani aveva questa volta trovato un simbolo in Luigi De’Magistris, eccezionalmente un politico navigato della sinistra “dura e pura” nonché ex sindaco della grande città di Napoli; ma la difficoltà a dialogare con persone fuori dalla loro “bolla” e l’impossibilità di offrire una struttura stabile nel tempo li/e/u ha comunque penalizzati/e/u, vanificando l’impresa record di decine di migliaia di firme raccolte in pochissimi giorni prima dello scadere del termine per iscriversi alle elezioni.
Con nuovo simbolo, nuovo nome e nuovo/a/u capo/a/u politico/a/u, ci si rivede alle prossime politiche. Adiòs!
Partiti “alternativi”: anche se i partitini estremisti ed euroscettici di ambo destra e sinistra sono sempre stati una realtà (senza però raccogliere abbastanza firme da presentarsi alle elezioni, generalmente), a queste elezioni ci si aspettava discreti risultati anche dal voto del mondo antivaccinista, esploso a partire dal periodo pandemico.
La divisione, però, in tante listine separate e molto simili tra loro non ha permesso a tale mondo di esprimersi e di quantificarsi, finendo probabilmente per disperdersi nell’astensione o nei partiti “moderatamente antisistema” come Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia.
Ecco di seguito, giusto per appuntare, le 4 listine di questa matrice che erano almeno riuscite a farsi ammettere alle urne.
Italexit: capitanato da Gianluigi Paragone, ex parlamentare conservatore dei 5 Stelle, il partito eurofobo mirava a ripetere con Fratelli d’Italia ciò che il partito nazionalista stesso ha fatto con la Lega Salvini Premier: costruire un’alternativa “più radicale” in grado di incassare i voti persi eventualmente dalla coalizione durante il governo venturo. Questa strada ha però permesso l’intrusione di vari militanti neofascisti (Forza Nuova e Casapound), che hanno di fatto cacciato gli altri e trasformato il partito in un guscio vuoto abitato dalla destra più estrema. La perdita dei membri originari e delle loro reti sociali ha reciso la base elettorale di Paragone, che invece di entrare in Parlamento ha dovuto accontentarsi di due punti percentuali. -> 2% circa
Alternativa per L’Italia: in una storia non troppo dissimile da quella di Italexit, i due fondatori di questa lista (Mario Adinolfi, conservatore anti-lgbt leader del Popolo della Famiglia e Simone di Stefano, ex leader di Casapound) proponevano un “anti-draghismo” radicale in salsa antieuropeista: scontato un iniziale patto con Paragone, poi reciso dopo la scoperta della silenziosa conquista del suo partito da parte degli ex-amici di Di Stefano.
Penalizzati dal fatto che l’ex-alleato, ora rivale nello stesso bacino elettorale, aveva ottenuto decisamente più attenzione mediatica di loro, i due hanno ottenuto poche decine di migliaia di voti; un risultato comunque migliore di quando Adinolfi si era candidato nel 2021 come sindaco di Ventotene, ottenendo esattamente zero voti. -> 0% circa
Vita: Sara Cunial, eletta parlamentare nel 2018 dal popolo antivaccinista che allora appoggiava il Movimento 5 Stelle e poi uscita da esso nel 2020, è famosa per i discorsi sorprendenti sulle lobby dietro alla “geoingegneria climatica” e alla “finta pandemia”, passando ovviamente per l’“indottrinamento gender” e molte altre cose comuni ai quattro partitini di cui stiamo parlando adesso (e anche ad alcuni membri di quelli elencati più indietro); le sue posizioni non hanno però valso a lei e alla sua lista molta fortuna. -> 1% circa
Italia Sovrana e Popolare: nata da uno dei tre Partiti Comunisti presenti in Italia (gli altri due avevano rispettivamente appoggiato De’Magistris e corso in solitaria) e qualche altra ennesima lista anti-sistema, questa formazione politica non ha assolutamente nulla di diverso dalle tre viste prima se non l’abbandono della dialettica della “dittatura sanitaria” a favore del rilancio dello slogan “no green pass”, il quale non ha però portato i voti dei movimenti anti-restrizioni che lo avevano sventolato nell’ultimo anno. -> 1% circa
Si conclude così questa rassegna, assolutamente ipersemplificata e non oggettiva, del panorama politico post-elezioni; e per quanto si possa discutere su ogni singola parola scritta in questo articolo in base alle diverse idee politiche, non si può non osservare come nessun vinto o vincitore di questa tornata elettorale viva esente da grane o retroscena, curiosando i quali possiamo capire meglio la politica italiana ed appassionarci alle sue storie (oppure vomitare e votarci all’astensione perpetua).
Con una speranza: che i politici di domani, che proverranno dalle file della nostra generazione, sappiano fare meglio di quelli che ci ritroviamo oggi.
#DAGLISTUDENTI:
Sopravvivere e vivere (di Cecilia T.)
La sopravvivenza è da sempre il bisogno insito negli esseri viventi, ciò che Schopenhauer identifica come volontà di potenza è il vincolo che porta ogni organismo a cibarsi, accrescersi, riprodursi, morire.
Basta però guardarsi attorno per capire che la razza umana adotta ogni tipo di strategia esistente per svincolarsi da questi obblighi ed avere quindi il tempo per vivere.
Ma… Quando ebbe inizio tutto ciò? Per scoprirlo, è necessario volgere lo sguardo verso i nostri predecessori, i Neanderthal.
Essi vissero più di 200 000 anni prima dell'arrivo dei Sapiens: con le loro abilità avevano già occupato diverse linee trofiche nelle quali vivevano in piccoli gruppi dediti alla caccia.
Grazie ad indagini condotte dall'università di Barcellona (i cui risultati sono consultabili accedendo alla rivista dell'Accademia delle Scienze) si sono potute datare pitture rupestri a 64 mila anni fa, prima dell'arrivo dei Sapiens (datato invece 40 mila anni fa).
Cosa significa?
I dipinti rinvenuti nelle caverne di Ardales, Maltravieso e Pasiega in Andalusia raffigurano simboli, gruppi di animali, punti e segni geometrici dipinti con cenere e ambra rossa, materiali rinvenuti anche all'interno di conchiglie raccolte appositamente per questo tipo di attività.
Ulteriori esempi sono dati dal rinvenimento di opere di sepoltura in cui il corpo veniva messo in posizione fetale e cosparso di ambra rossa.
Il rosso è il colore del sangue: dal sangue si nasce, nel sangue si muore.
I Neanderthal avevano quindi un'idea di vivere il mondo talmente forte e viva da decidere di limitare il tempo per cacciare, cibarsi e riprodursi. Idea non insita nella natura di ognuno e che necessitava quindi deve essere tramandata: nacque così la cultura.
#DAGLISTUDENTI:
Ca'Foscari censura un prof con una legge fascista...?!
Se sei un prof e non sei d'accordo con quello che fa l'Università, nessuno dovrebbe punirti se lo fai presente nella vita reale e nei social.
Giusto...?
Ma se c'entra un certo ex ministro russo chiamato Medinsky, tutto è possibile.
Tempo qualche ora e nei social dell'ARS (Assemblea dei Rappresentanti degli Studenti) uscirà una presa di distanze dall'Ateneo fino ad eventuali spiegazioni da parte dello stesso.
Come siamo arrivati a questo punto?
Per scoprirlo, dobbiamo fare un salto nel passato.
E' il 2014; per intenderci, l'anno in cui la Russia ha "annesso" la Crimea e l'Ucraina ha iniziato a fiutare odore di guai.
Un Ministro della Cultura russo, tale Vladimir Medinsky (da non confondere con Vladimir Putin o Vladimir Zelensky, che metà slavi paiono chiamarsi Vladimir), riceve dall'Università Ca'Foscari un'alta onoreficenza per aver collaborato con l'Ateneo per alcuni progetti coordinati dall'allora Prorettrice Burini (ora putiniana sfegatata) e nel frattempo conseguito alcune lauree.
Il ministro ha però qualche, ehm, difettuccio: oltre ad aver probabilmente plagiato le tesi di laurea, è responsabile di diffondere in Russia delle idee decisamente poco progressiste, come l'odio per i neri e per gli LGBT+, la negazione del riscaldamento globale e una sorta di violento complottismo nei confronti dell'Europa e delle opposizioni politiche (che si sarebbe più tardi rivelato avere il gusto del caffè avvelenato).
Professori e studenti insorgono (impedendo che la cerimonia avvenga in Aula Magna, infatti poi viene svolta nel Cremlino), ma l'Ateneo non ritira l'onoreficenza: nasce il Caso Medinsky, tuttora uno scheletro nell'armadio di Ca'Foscari con molti chiaroscuri.
Otto anni dopo, molto è cambiato: la Russia sta cercando di inghiottire sanguinosamente il suo recalcitrante vicino pur di non vederlo entrare nella NATO, in Italia si aggira lo spettro del Deserto Lombardo-Veneto, Ca'Foscari ha cambiato due volte il Senato Accademico e ha un nuovo Rettore (o meglio, Rettrice): ma a non cambiare è l'onoreficenza di Medinsky, ora fedelissimo diplomatico di Putin e tuttora fregiato dal titolo di "professore onorario" del nostro Ateneo, in barba al sempre più evidente conflitto di valori.
Incalzata da "veri" professori e alcuni giornalisti, Ca'Foscari spiega che non può togliere l'onoreficenza perché "il regolamento di Ateneo non permette le revoche" e forma una Commissione Speciale apposita per studiare la cosa, ma l'impressione è che stia solo prendendo tempo, per motivi non chiari.
Il prof. Roson dell'area economica incarna il mal di pancia di molti colleghi e su Facebook scrive un post, taggando la rettrice:
«Cara Rettrice Tiziana Lippiello, la nomina di una commissione mi sembra un escamotage per prendere tempo, di fronte a un fatto scandaloso, che danneggia profondamente reputazione e credibilità dell'ateneo. Giustamente fai notare che si tratta di una iniziativa presa dal precedente rettore (Carlo Carraro), e dalla quale spero tu vorrai dissociarti in maniera netta ed inequivocabile.
Non c'è nessuna giustificazione che regga all'attribuzione di una affiliazione onoraria a Medinsky (nato a Smila, città oggi ucraina, è stato accusato nel 2011 di plagio per la sua tesi di dottorato, con evidenze di plagio anche nei suoi lavori precedenti del 1997 e 1999). Chiarissima, invece, la reale motivazione, ovvero quella di blandire un potente oligarca, sperando che questo possa portare dei vantaggi.
Non tanto all'Ateneo, direi, quanto a chi a quel tempo lo governava. In poche parole, vendere Ca' Foscari, per trarre vantaggi personali».
Il post del professore è piuttosto duro (specialmente nei confronti dell'ex Rettore Carraro) ma la reazione dell'Ateneo lo supera di molto: riesumando inaspettatamente una legge emanata nell'epoca fascista (1933), sanziona il docente con una "macchia del disonore" che rimarrà nel suo fascicolo professionale.
Tale sanzione può essere ordinata solo da un Rettore o un Ministro; e qui si infittisce la trama di un caso, il Caso Medinsky, che vede cose mai viste accadere proprio nel nostro Ateneo.
Cosa accadrà nel futuro al riguardo? Verrà finalmente tolta la discussa onoreficenza al fedelissimo di Putin, liberando l'Ateneo da un'onta quasi decennale? O altri professori, seguendo Roson, si esporranno contro Ca'Foscari ricevendo in cambio lo stesso trattamento del collega?
Il giornalino aspetta insaziabile nuove notizie.
#DAGLISTUDENTI:
La guerra eterna
(di Cesare B.)
Pandemia, guerra in Ucraina, siccità... sembra quasi che qualcuno, tre o quattro anni fa, abbia scoperchiato il mitologico Vaso di Pandora.
Ma chi è che ha davvero preparatoci questa tempesta perfetta?
E quando finirà?
E' da circa 3 anni che a fine dicembre gira il meme del "a Capodanno se non urliamo tutti 'Jumanji!' ci troviamo un altro anno da dimenticare": questo forse è indizio del fatto che un po' tutti ci stiamo rendendo conto che le cose stanno iniziando ad andare un po' peggio del solito (non che prima fosse il paradiso, per carità).
Del resto, se a un'Amazzonia in fiamme segue una pandemia inimmaginabile, seguita da una guerra che rischia di degenerare in una catastrofe atomica, cui poi si somma una scottante siccità che sembra stare colpendo contemporaneamente mezzo mondo... sì, anche a chi non passa neanche un minuto al giorno ad informarsi viene spontaneo chiedersi cosa diamine stia succedendo tutto ad un tratto, e per quanto durerà questo casino.
Ci sono delle risposte a queste due domande? Sì, e le possiamo ricavare non tanto da un libro di fisica o di geopolitica, ma da una citazione e un banalissimo libriccino di psicologia.
L'inventore del concetto di biofilia, Edward O. Wilson, affermava: “Il vero problema dell’umanità è che abbiamo emozioni paleolitiche, istituzioni medievali e tecnologie semi-divine”.
Tre cose dannatamente vere: i nostri governi non sono strutturati poi così diversamente da quelli che si sono fatti la guerra per secoli negli anni bui; la nostra tecnologia ci permette (volontariamente o meno) di cancellare la vita in una data zona, di alzare la temperatura del pianeta, eccetera; ma soprattutto le "emozioni paleolitiche" sono il dannato problema.
O meglio, più che le emozioni, il funzionamento automatico del nostro cervello, brevettato e perfezionato quando ancora inseguivamo i mammut ed eravamo inseguiti dalle tigri dai denti a sciabola. Il nostro encefalo da allora si è espanso, ma la parte interna non è poi così cambiata.
Il "principio del minimo sforzo" è una tendenza scontata e necessaria in ogni pianta e animale: dopo una fulminea stima a spanne di costi e benefici, l'essere vivente fa la scelta che dovrebbe portargli un risultato immediato e soddisfacente a fronte del minimo dispendio energetico possibile, anche mentale (il cervello consuma tantissime risorse, specialmente quando lavora attivamente).
Questo spiega perché, in numerosi esperimenti, si è visto che non solo l'animale, ma pure l'uomo tendenzialmente prende la strada più semplice (e non la più breve, anche se spesso coincidono).
Senza questa caratteristica, i nostri antenati difficilmente avrebbero avuto abbastanza fitness per sopravvivere abbastanza a lungo per dare inizio alla nostra civiltà; ma la complessità della civiltà stessa li ha portati anche a sviluppare un "sistema alternativo", quello razionale, che pur essendo minoritario ci permette spesso di fare delle scelte intelligenti al posto di quelle semplici (es. studiare per l'esame del giorno dopo anziché ronfare sul divano).
Senza questo, non avremmo neppure un vago concetto di "futuro" e "complessità".
La parte razionale del nostro cervello è in crescita perché, con la loro ovvia lentezza, i nostri cromosomi stanno capendo che non abbiamo più così tanto bisogno di risparmiare energia mentale; ma è ancora dominante quella istintiva, locata al centro dell'encefalo, che spesso e volentieri nella sua ricerca di semplicità viene hackerata e ingannata dalle mille trappole mentali che la nostra società ha partorito.
Leggere un libro porta dei benefici al cervello, ma è più dispendioso (e rilascia meno dopamina) di guardare la tv o giocare ai videogames; lo stesso discorso vale per ogni cosa che percepiamo buona o utile (mantenersi informati, fare volontariato, organizzare ritrovi) ma che, se non c'è un'imprinting sociale (che la rende più normale e quindi semplice) viene buttata alle ortiche in cambio di un'attività più semplice, meno sfidante e con un rilascio più intenso di dopamina, anche se razionalmente inutile o dannosa.
Questa tendenza a fare la scelta semplice e immediata in sé non è così grave o pericolosa; lo diventa però quando siamo miliardi di individui e abbiamo delle tecnologie semidivine in grado di risolvere o causare degli eventi massivi nello spazio e nel tempo.
Ed è così che, diversi anni fa, come popolazione e come politica abbiamo iniziato a seminare delle mine che ora stanno iniziando ad esploderci sotto i piedi.
Era già stato dimostrato che la perdita di biodiversità favorisce le epidemie, ma a breve termine era più vantaggioso trasformare tutti quei terreni in luoghi "produttivi"; si sapeva da sempre che una transizione ecologica veloce e bilanciata avrebbe indebolito i vari guerrafondai (non solo Putin) sparsi per il globo, ma vi sarebbe stato uno svantaggio nell'immediato; da decenni era stata prevista l'entità delle caldissime siccità che avrebbe portato il riscaldamento globale, ma le misure di mitigazione e adattamento erano dannatamente dispendiose, complesse e a lungo termine, eccetera.
E ora come comunità iniziamo a pagare i precedenti decenni di lusso e consumismo, saltando di emergenza in emergenza, come un capitano che per pigrizia non abbia mai fatto manutenzione alla nave e ora stia accorgendosi che il proprio veliero imbarca acqua da ogni parte.
La cosa più interessante di questa situazione orrifica è che abbiamo ancora la possibilità di scegliere se vogliamo continuare con la stessa anda dei decenni precedenti, affidandoci a soluzioni-pezza ridicole e a breve durata e continuando a seminare mine sempre più pericolose nel sentiero che abbiamo davanti, o se vogliamo cambiare traiettoria e riservarci un futuro forse meno comodo e ingordo, ma più sano, sereno e sicuro.
La scelta per adesso sembra cadere sulla prima opzione: per fare un esempio, le istituzioni italiane stanno affrontando la siccità giocando a razionare la poca acqua rimasta a disposizione quest'anno e sperando in un (non scontato) miglioramento successivo; dovrebbero invece intervenire in modo strutturale sulla rete idrica-colabrodo e su tutti i settori ad alto consumo di acqua che non sono necessari o che comunque dobbiamo alleggerire per altri motivi (esempi scemi: carne, fast fashion, plastica, centrali termiche).
Ma proseguendo con l'esempio, noi italiani stiamo tentando con "resilienza" (leggasi "inerzia") di fare quello che abbiamo sempre fatto, cioè le vacanze estive, i festoni, i pomeriggi di gaming, lo shopping eccetera, scappando dal caldo per mezzo dell'aria condizionata e dalle altre preoccupazioni per mezzo di un ben navigato fatalismo; ciò che ci conviene fare è invece prendere il bue per le corna e spingere la politica di cui sopra a fare ciò che deve fare, e si può fare attraverso il movimentismo, l'associazionismo, la partecipazione politica e ovviamente (necessario ma non sufficiente da solo) il voto. Facendo così avremmo pure il beneficio di ridare sangue ad un sistema sociale debole e agonizzante, avere cura in modo serio della comunità in cui viviamo, e forse dare anche un senso più alto (e un futuro più tranquillo) alla nostra vita.
Morale della favola!
Al momento, come società e come individui, siamo immersi in una pigra (ma comoda) inerzia, che genera un conflitto a intensità crescente contro i noi stessi del futuro; ma abbiamo ancora qualche possibilità di salvare il salvabile: tirandoci su le maniche e sfidando i limiti ereditati dall'Homo Sapiens Sapiens, possiamo sperare di riuscire a sconfiggere l'animale hackerato che c'è in noi e porre fine a questa guerra eterna.
E forse così i posteri potranno dire che a inizio duemila è nata la specie Homo Sapiens Sapiens Sapiens.
#DAGLISTUDENTI:
Abbiamo “movimentato” una conferenza sulla sostenibilità
(di Cesare B.)
Cosa succede se ad una conferenza sulla sostenibilità presenziata dalla presidentessa di una banca spuntano degli studenti che mettono in dubbio la sostenibilità e l’etica della banca stessa? Ecco cosa è successo…
Nove giugno mattina: accade che, nell’ambito del progetto Lei (“Leadership Energia Imprenditorialità” un giro di conferenze organizzato dal Career Service di Ca’Foscari per promuovere l’iniziativa femminile nel mondo aziendale), sia invitata a parlare di sostenibilità Chiara Mio, presidentessa della grande banca Friuladria-Credit Agricole nonché (altolà conflitto d’interessi!) professoressa di Economia Aziendale nel Campus Economico San Giobbe del nostro Ateneo.
Non è l’unica conferenza cafoscarina presieduta da Friuladria-Credit Agricole, perché nell’ambito della Summer School hanno tenuto i loro discorsi almeno altri due membri del suo staff aziendale: il probabile motivo è che, oltre ad essere attualmente il tesoriere del nostro Ateneo, la banca contribuisce economicamente al progetto.
Ero lì con alcuni amici e conoscenti, perché eravamo molto... ehm... curiosi di sentire cosa avesse da dire una punta di diamante del mondo aziendale sul tema della sostenibilità, specialmente quella ambientale. La prof. Mio era un interessante fonte da sentire: presente con numerosi ruoli in numerosissime grandi e piccole imprese (non solo la banca), sia come consulente che, soprattutto, come figura molto avvezza a parlare (e scrivere) di sostenibilità ed emancipazione femminile nelle sue aziende; vista da alcuni come una profetessa del green e della rivoluzione di genere coniugati all’inesauribile crescita economica, da altri come (consapevole o inconsapevole) articolo di vetrina di soggetti imprenditoriali interessati a farsi pubblicità usando greenwashing e pinkwashing.
L’ora e mezza di conferenza non è noiosa: la presidentessa è decisamente molto brava a parlare e tenere alta l’attenzione, racconta aneddoti, fa esempi, ogni tanto scherza. La sua opinione principale è che le donne debbano usare sia le quote rosa che le sgomitate per arrivare alla posizione che desiderano, senza farsi influenzare troppo dalle persone che le circondano, specialmente i familiari; ma che non debbano per questo rinunciare ad alcuni piaceri della vita. Tocca inoltre molto spesso i temi della sostenibilità sociale, come la lotta al lavoro in nero, il miglioramento delle condizioni di lavoro e soprattutto la preservazione dei posti di lavoro; in quest’ultima fase arriva a dire che sostenibilità sociale, ambientale ed aziendale sono come le tre gambe di uno sgabello, sono importanti uguali, l’attenzione a ciascuna delle tre non deve nuocere alle altre sennò lo sgabello traballa.
A sentire questo io, studente di scienze ambientali, alzo le sopracciglia perché numerosi prof del campus scientifico durante le lezioni introduttive mettono in guardia dalla narrativa dello sgabello, spiegando che l’immagine giusta è invece una piramide: alla base la sostenibilità ambientale, poi quella sociale e infine quella economica. Questo perché solo le condizioni ambientali favorevoli rendono possibile l’esistenza di una società, e solo una società complessa sviluppa una sovrastruttura economica: un esempio è che se un clima anomalo impedisce ad un paese di produrre abbastanza cibo, la società va nel caos e l’economia ne esce male (storicamente confermato).
Ma a sbuffare sono altri (o meglio, altre) partecipanti che erano con me, provenienti da altre aree: molti discorsi della relatrice a loro sembrano parecchio superficiali, per non parlare di alcune raccomandazioni che rasentano una sorta di sorprendente ed odiosissimo “paternalismo femminile”; nonché la completa mancanza, in quello che la Mio descrive come la vita ideale di una donna, di riferimenti all’associazionismo e al volontariato, che a quanto pare per parte del mondo aziendale sono una perdita di tempo (e quindi di denaro) o, peggio, non meritano neppure considerazione.
Tra gli altri partecipanti invece c’è chi sembra seguire con molta attenzione, appuntandosi addirittura alcune massime e citazioni della professoressa; tra noi c’è chi scherza sussurrando che probabilmente sono i suoi laureandi.
Ma è quando finisce il discorso e inizia il question time che inizia la parte divertente.
Il sottoscritto chiede di fare una domanda, si alza, riceve il microfono e si dirige a metà del corridoio centrale, in modo da essere ben visibile da tutti i quaranta presenti. Non sono l’unico ad alzarmi: qualche altra ragazza e ragazzo che erano venuti con me guizzano tra le file e distribuiscono del materiale tratto dal rapporto internazionale “Banking on Climate Chaos 2022”, che con tabelle e grafici mostra come Credit Agricole sia tra i maggiori finanziatori del settore dei combustibili fossili, e quindi corresponsabile dell’attuale fallimento della lotta contro il riscaldamento globale.
Su questo si basa anche la mia domanda: prima evidenzio come, in occasione del rilascio dell’ultimo rapporto IPCC dell’ONU, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres abbia definito “criminale” l’inazione climatica ed “estremista” chi contribuisce all’aumento dell’uso dei combustibili fossili; poi mi complimento per il coraggio della Mio di venire a Venezia (la città minacciata dall’innalzamento marino) rappresentando una banca fossile, infine snocciolo i tristi primati di Credit Agricole nel finanziamento a carbone, petrolio e gas (tra cui la quinta posizione mondiale per i finanziamenti alle trivellazioni nell’Artico); al termine, incalzato dal moderatore che continua ad interrompermi, chiedo alla professoressa “come ci si sente ad essere (consapevolmente o inconsapevolmente) la facciata verde di un palazzo nero”.
Come prevedibile, la navigata relatrice manda giù la bordata e, ricomposto il sorriso sornione, replica con una nube di parole e discorsi sull’impegno per la sostenibilità suo e della sua banca, sul fatto che stanno iniziando a togliere qualcosa da quegli investimenti ma che non vogliono mettere in pericolo il ruolo economico, i posti di lavoro e l’indotto di quelle aziende, che la sostenibilità sociale equivale a quella ambientale eccetera.
Interviene una mia collaboratrice che evidenzia come, secondo i report dell’ONU, se la transizione ecologica prosegue con questa lentezza rischiamo che danni ben maggiori (anche alla società e all’economia) possano accadere entro pochi anni a seguito di una sempre maggiore instabilità climatica; la risposta della presidentessa della banca è sostanzialmente che le dà ragione, che bisogna accelerare, ma che devono intervenire le istituzioni a regolare il mercato perché “le aziende non possono fare tutto” (nota: invece i politici generalmente dicono che sono le aziende a tenere le redini, chi avrà ragione?).
Interviene poi il moderatore, un giornalista, che altre volte durante la conferenza aveva parlato brevemente per accompagnare la relatrice; tra il suo lungo intervento-domanda e la successiva, altrettanto prolungata, risposta di lei si esaurisce il tempo delle domande, con sommo dispiacere di altri miei collaboratori che erano pronti a porre ulteriori quesiti scottanti. Io però non mi fermo e, raggiunta di fretta la relatrice che stava andandosene, le consegno il materiale già distribuito agli altri presenti e le faccio presente con stizza che se gli uffici della sua banca non avessero l’aria condizionata, forse Credit Agricole riuscirebbe di colpo ad aumentare la propria velocità di disinvestimento dal fossile.
Lei e il giornalista mi rispondono senza mostrare dubbi, specialmente ora che mezza platea è uscita dalla sala ed è intorno ad ascoltarci: il fitto confronto dura altri 5 minuti, durante i quali faccio in tempo a fargli presente l’impatto del caldo e della siccità sulla mia fattoria e sulle altre aziende agricole della zona; ma il momento che più ricorderò è quello in cui domando se Credit Agricole è in grado di togliere autonomamente i soldi dalle trivellazioni sull’Artico o se devono costringerla le istituzioni perché, in quanto azienda basata sul profitto, non è in grado di regolarsi da sola e si muove solo se trascinata dal mercato. La non-risposta che ricevo è eloquente.
Alla fine mollo l’osso e, scusandomi per il tempo rubato, stringo la mano a presidentessa e giornalista; entrambi (con quel sorriso perenne che quasi mai aveva lasciato la loro faccia) si complimentano con me “perché abbiamo bisogno di giovani come te che ci sfidano, perché siete uno stimolo per noi a fare sempre meglio”; confuso, taglio corto dicendo che non sono uno che vuole sfidare ma uno che ha paura per il proprio futuro.
Questi vanno via, ma altri tra studenti e staff poi vorranno parlare con me, e io non potrò che ripetere l’ultima frase che ho detto e lasciare qualche contatto.
Alla successiva merenda con gli altri che erano venuti a movimentare la conferenza, spiego infine il motivo di tanta determinazione nel confrontarmi con Friuladria-Credit Agricole e il suo staff: mesi prima, come rappresentante studentesco di scienze ambientali, avevo mandato una mail alla Delegata alla Sostenibilità di Ca’Foscari esprimendo preoccupazione per la condotta climatica della banca cui si appoggia il nostro Ateneo; la mail era rimbalzata fino addirittura (non so bene come) alla scrivania di un vertice della banca, che mi aveva risposto in una maniera abbastanza canzonatoria (tra le altre cose mi aveva sommerso di “cose belle che fa la nostra banca” senza esprimersi al riguardo dei loro finanziamenti alle fonti fossili); era poi seguita la telefonata di un laureando nonché giovane dipendente della Mio, che si era offerto di “aiutarmi a capire la sostenibilità della loro banca” per poi dimenticarsi di mandarmi il materiale che secondo lui avrebbe cambiato la mia idea. Non mi aspettavo nessuna delle due cose, ma non mi avevano fatto buona impressione.
Il quadro finale è che, poiché l’accordo tra Ca’Foscari e Credit Agricole scade tra qualche anno, deve accadere che entro quella data il tipo di bandi che il nostro Ateneo lancia per trovare aziende partner lasci spazio solo ad aziende veramente sostenibili e banche etiche: solo così potremo spingere istituti come Credit Agricole a migliorare le proprie azioni, oppure a rinunciare al nostro Ateneo e quindi smettere di inondare noi studenti di ipocrite mail sull’”Adotta un Albero” e sulle “nuove tessere verdi”.
Io mi batterò perché ciò accada, ciò che mi fa ben sperare è che non sono da solo.
#DAGLISTUDENTI:
La conferenza a Ca’Foscari di Vanessa Nakate, la “Greta Thunberg” africana
(di Cesare B.)
Provate a immaginare il coraggio e la determinazione di Greta Thunberg, o di qualunque altra/o attivista che viva in Europa o in America. Bene, ora moltiplicatelo per dieci. Questa è la storia di una attivista africana della nostra età, questo è il racconto di Vanessa Nakate.
E’ troppo facile dimenticarsi dell’Africa.
Del resto, capita anche agli africani stessi.
Quasi tutti i giornali e i media che operano nel continente tra Libia e Sudafrica hanno sede nel “primo mondo”, ed è da lì che rilanciano le informazioni, quasi tutte riguardanti appunto le storie e le preoccupazioni del “primo mondo”. In Etiopia c’è la guerra civile, eppure lì si parla molto di più del conflitto ucraino che della mattanza a pochi kilometri dalla capitale nazionale; in Congo la foresta vergine viene incendiata da affaristi senza scrupoli, eppure l’attenzione è rivolta verso il bruciare dell’Amazzonia; l’informazione è concentrata sul punto di vista dei “bianchi”, la conseguenza è che molti africani neppure sanno che cosa stia accadendo a due passi da casa, figuriamoci agire al riguardo.
Anche perché, in paesi come l’Uganda, parole come “agire”, “manifestare”, “scioperare”, possono costarti la libertà o anche la vita, perché vi è un perenne conflitto armato tra governo e opposizione: la polizia ha sempre i nervi scoperti e il manganello facile, ogni dissidente è visto come un possibile attentatore, anche gli universitari che marciano per chiedere rette più basse devono aspettarsi la repressione.
Eppure anche in Africa occorre agire. E’ vero che la popolazione del continente è responsabile di una frazione misera delle emissioni di gas serra e del consumo di combustibili fossili; ma è vero anche che sono quelli in assoluto più colpiti dalle conseguenze della crisi climatica (e non solo): l’instabilità meteo che abbiamo paura di veder iniziare nel Mediterraneo lì è già arrivata, e si fa sentire eccome!
Alcune zone africane sono più tormentate da siccità e incendi, che rovinano il raccolto e spingono la popolazione a scappare verso le città; altre soffrono una granugnola mensile di alluvioni e uragani, che causano danni incalcolabili e morti in gran numero, oltre ad aprire ogni volta le porte alla diffusione di epidemie e di specie invasive (non solo zanzare).
La Namibia sta venendo divorata dal deserto, il Togo dall’acqua; i conflitti sono causati o arroventati dalla difficoltà sempre maggiore di accedere alle risorse primarie.
Eppure, ai negoziati globali per il clima come la COP26 di Glasgow, i “neri” non vengono praticamente invitati. Dovrebbero rappresentare la “parte lesa” da soccorrere, invece ne fanno venire giusto giusto qualcuno, tanto per non far sembrare il tutto un’enorme riunione carnevelata da campagna elettorale.
Di fronte a tutto questo, una neolaureata ugandese (e non solo lei) si è ribellata. E ha iniziato a darsi da fare, pur sapendo che in quel continente tutto è contro di lei: ha sfidato i tabù di una capitale, Kampala, simile a quelle europee ma in cui la partecipazione politica femminile è vista come una devianza morale; ha sfidato la paura dei suoi familiari e dei compagni di università; ha sfidato i poliziotti inquisitori e le orde di haters sui social; ha sfidato il fatto che quasi tutti nel suo paese (complici alcuni furboni) pensano che il crescente collasso del clima sia semplice punizione divina.
Dalle manifestazioni mono-persona davanti al Parlamento ugandese ai laboratori climatici al riparo delle scuole elementari, fino all’ottenimento del supporto legale delle ONG “bianche” (GreenPeace, WWF e simili sono attive e presenti nel territorio, ma i loro gruppi di ricchi volontari dai lineamenti caucasici sono visti come qualcosa di alieno e “al di sopra” rispetto ai cittadini autoctoni, per i quali l’Apartheid è stato superato solo in teoria); al venire addirittura invitata dall’Onu al summit sul clima di New York 2019 per rappresentare la giovane generazione africana nei negoziati.
Vanessa afferra l’opportunità di un volo nella città statunitense, ma lì scopre che di offerto aveva solo il viaggio e l’alloggio, deve sopravvivere nella City per giorni con soli 150 dollari (un piccolo tesoro in Uganda, spiccioli negli USA). Lì incontra la solidarietà degli altri attivisti da ogni parte del mondo, vive le manifestazioni da migliaia di persone (che almeno in Occidente non vengono represse), trova l’energia per affrontare il summit, che noi ricordiamo per il meme su Greta “How dare you” e Vanessa per le numerose discriminazioni ricevute da staff e politici; riceve dai rappresentanti governativi del suo paese un invito ad un colloquio in patria, che però sarà disertato dagli stessi.
Torna a casa più agguerrita che mai, continua con le sue attività, fonda un’associazione che pianta alberi nei terreni disboscati e difende quelli ancora integri; viene nuovamente invitata, alla COP25, al World Economic Forum di Davos 2020 (dove rischierà di gelare a morte), alla pre-COP26, alla COP26. Viene sempre accolta da forme più o meno offensive di discriminazione, tra queste c’è l’episodio di una sua foto con Greta Thunberg e altre tre attiviste “bianche”, pubblicata dai giornali tagliata in modo da eliminare solo lei, l’unica “nera”, dalla scena, e quindi eliminare anche l’idea dell’Africa come parte interessata nei negoziati.
L’accadimento non scatena solo la solidarietà delle altre attiviste della foto, ma anche l’indignazione dei suoi connazionali, che iniziano a supportarla maggiormente e a partecipare di più alle sue iniziative in Uganda; ed è proprio per i restanti suoi concittadini che Vanessa scrive un libro, “Aprite gli occhi”, per poi prepararsi ad un nuovo giro in Africa e in Europa per seminare da una parte la speranza attiva, e dall’altra la coscienza e la conoscenza di ciò che sta vivendo il suo paese natale e che in futuro, anche qui da noi, potrebbe accadere se perdessimo la guerra del clima.
In una di queste tappe Vanessa Nakate è intervenuta a metà maggio a Venezia, in una conferenza organizzata dall’associazione “Incroci” insieme a Ca’Foscari; partecipando alla quale ho sentito questa storia e sono rimasto fulminato dal fatto che, a differenza di noi europei che vediamo ancora il tutto come una blanda questione etica, lei presenta l’emergenza climatica come una cosa presente e tangibile, con cui fare i conti immediatamente e in modo radicale per salvare quantomeno il salvabile.
Non posso che consigliare la lettura del suo libro, che ho trovato decisamente scorrevole e capace di scatenare emozioni molto forti; ma ci tengo anche a lanciare un invito a tutti i lettori di questo articolo ad impegnarsi nell’attivismo per il clima, agendo individualmente oppure fondando gruppi e associazioni ecologiste, o infoltendo i ranghi di quelle già esistenti.
Perché se superiamo i 2 gradi di anomalia climatica (l'attuale traiettoria è verso i 4 gradi a fine secolo), le zone da cui proviene Vanessa diverranno seriamente inospitali; e noi ci troveremo a dover accogliere folle di poveri cristi mentre nel frattempo facciamo i conti con i disastri che in Africa stanno già vivendo in questo momento: uno scenario decisamente da evitare, se vogliamo un futuro in cui costruire una vita serena e realizzare le nostre aspirazioni.
E perché, diamine, se in un paese semidittatoriale che non può fare quasi nulla per diminuire le emissioni comunque ci sono ragazzi e ragazze come noi che fanno dei sacrifici per tentare di salvare il salvabile, perché non dovremmo farlo noi, figli straviziati di uno degli stati più democratici, nonché più ricchi e inquinanti del mondo? Ce l’abbiamo, una spina dorsale? E un fegato, ce l’abbiamo?
La guerra del clima è già iniziata, sta a noi decidere da che parte stare.
#DAGLISTUDENTI:
I "Ribelli" cafoscarini (di Cesare B.)
Tra canti, balli, sbandierate e attacchinaggi di massa, ecco l'intervista esclusiva ad alcuni dei nostri compagni di università che hanno partecipato alla tre-giorni ecologista tra Mestre e Venezia lanciata dal movimento Extinction Rebellion Venezia.
Euforia e divertimento, ma anche l'orgogliosa consapevolezza di stare lottando per una causa più grande.
Questo il riscontro che mette in comune tutti i cafoscarini da me intervistati, tra quelli che hanno aderito e partecipato alle tre giornate di azioni "di massa" organizzate dal gruppo locale di Extinction Rebellion (quelli che avevano girato per il nostro campus vestiti da dinosauri, per intenderci).
Dei circa duecento partecipanti alla mobilitazione ecologista per l'azione climatica, alcuni erano appunto dei nostri compagni di Ateneo, provenienti dai corsi di studio più disparati: ecco le testimonianze di alcuni (o meglio, alcune) di loro.
Irene (Environmental Humanities, primo anno della magistrale)
"La mia è stata un'esperienza assolutamente positiva!
Sento l'urgenza e la necessità di mobilitarmi, sia perché sto studiando (e quindi conosco e temo) la crisi ecologica sia perché penso che noi studenti universitari possiamo essere il motore del cambiamento (siamo meno "ingenui" dei ragazzini ma più "liberi" ed energici di chi è già completamente inghiottito dai meccanismi della società). Conviene attivarsi perché la situazione attuale richiede impegni urgenti, abbiamo 8 anni per evitare le conseguenze peggiori della crisi climatica.
In particolare dopo questa tre-giorni di azione, mi sento convolta in XR perché propone un modello alternativo: sia nei principi e nella struttura, sia nell'ampio uso di colori e musica, sia nel clima generale di legame e sostegno tra attivisti (che di per sé già da solo è arricchente come esperienza umana).
Senza dimenticare il divertimento dato dal fatto che nelle grandi azioni, come quelle di questo fine settimana, vi sono anche gioco, ballo, cibo, musica, e soprattutto una rete ben organizzata di supporto morale, legale e logistico a chi partecipa ai flashmob, specialmente quelli più rischiosi.
Quando partecipo mi sento parte di un organismo strutturato e funzionante, in cui posso incanalare le mie preoccupazioni in un modo che poi mi restituisce soddisfazione, divertimento, nuove relazioni e soprattutto la sensazione di stare agendo per una causa estremamente importante.
E poi, del resto, che senso ha stare sempre barricati in biblioteca a studiare per la sessione, se poi rischiamo che la biblioteca stessa in qualche anno venga resa inservibile dalle alluvioni?"
Adele (Lettere, primo anno della triennale)
"Questo weekend ho partecipato anch'io alle giornate di mobilitazione a Venezia, nonostante fossi in piena sessione.
Sono state giornate intense, piene di energia e speranza, che mi hanno ricordato perché da ormai quasi due anni sono attiva in Extinction Rebellion.
In primo luogo riconosco l'importanza e l'urgenza di agire per chiedere ai governi azioni rapide volte a contrastare il collasso climatico; a questo si unisce il bisogno impellente di FARE qualcosa di concreto per riscuotermi dall'ansia e dal senso di impotenza generati dalla situazione emergenziale in cui ci troviamo.
XR mi permette di fare tutto ciò in un luogo e in un contesto in cui mi sento accolta, in cui ansie e preoccupazioni vengono assorbite e trasformate in qualcosa di produttivo e potente.
Le azioni di questi tre giorni mi hanno ricordato i legami forti che ho costruito con molte persone all'interno del movimento; l'allegria, la liberazione, ma anche la soddisfazione che derivano dalla consapevolezza di esporsi e impegnarsi per una causa in cui si crede."
Elisa (Environmental Humanities, secondo anno della magistrale)
"Sono state tre giornate molto intense e molto piene di attività!
Per me è stato importante vedere che si sono realizzate e che il riscontro è valso l'impegno che ci abbiamo messo.
Ho notato che vi erano molte studentesse e studenti di Environmental Humanities e Scienze Ambientali.
Venerdì in cento ci siamo "presentati" al Comune di Venezia consegnando la richiesta di Dichiarazione di Emergenza Climatica ed Ecologica; sabato invece abbiamo occupato pacificamente un incrocio di Mestre per diverse ore; infine domenica abbiamo attuato la parte più creativa, sfilando per la città e puntando a parlare con le persone.
Personalmente ho ricevuto da abitanti, lavoratori, studenti e turisti dei riscontri molto positivi: è stato davvero coinvolgente, e mi sono sentita utile perché ho potuto mettere in pratica ciò che sto studiando per spiegare alle persone cos'è la crisi climatica, e perché ci stiamo mobilitando proprio a Venezia."
Vi sono poi state altre testimonianze, ma per tutte il verdetto è chiaro: al di là della sua capacità di ottenere cambiamenti concreti (che può essere più o meno opinabile a seconda dei punti di vista), con le sue azioni e le sue mobilitazioni il movimento veneziano si presenta come un'ottimo nucleo di aggregazione (specialmente per universitari) e di attività a tema ambientale.
Per seguirne iniziative ed eventi esiste un canale Telegram apposito.
#DAGLISTUDENTI:
Il lago Vostok
(di Cecilia B.)
Dopo ore di lezioni sul clima, i ghiacciai, la cronostratigrafia; grazie anche ad un’ascesi della meraviglia che la Ferretti emana, nella mia mente riverbera un suono : “Tekeli-li tekeli-li”.
Ci troviamo nel mondo dell’Antartico, una landa apparentemente desolata in cui degli esploratori sono giunti per trarre prova di vita.
La spedizione supera ogni tipo di aspettativa tantoché i suoi componenti si trovano a dover lottare contro degli esseri protoplasmatici intelligenti, gli Shoggoth, in grado di esprimersi mediante suoni e condensarsi in una fitta nebbia dall’odore acre, che sancisce la loro presenza.
Tutto questo solo perché la loro curiosità li spinge oltre…
In un’apertura di pietra senza fondo apparente che infine rivela immensi corridoi, pavimenti in ardesia e ampie arcate rocciose.
Rocce che portano storia! Sepolta sotto tonnellate di ghiaccio vi era un’antica città di cui ora rimangono soltanto quegli esseri puzzolenti e amorfi, che avevano sviluppato la loro intelligenza fino a usurpare i propri creatori.
Ma cosa lega questo racconto (che consiglio vivamente: Le montagne della follia, H. P. Lovecraft) alla realtà?
La vita.
Si, perché anche il luogo apparentemente più inospitale per noi, può non esserlo per altri organismi: si tratta di laghi subglaciali d’acqua dolce.
Il più profondo e di maggiori dimensioni è il lago Vostok, a 3000 m di profondità con un'estensione di 2700 m, che si mantiene allo stato liquido nonostante le temperature si aggirino attorno ai -3°C.
Come si spiega la sua esistenza?
Essa è favorita dalle condizioni di pressurizzazione dell’acqua che permettono un abbassamento del punto di congelamento di quest’ultima, mantenendo quindi lo stato liquido; si pensa poi esso si trovi in una zona in cui la cresta è molto sottile, caratteristica che consente di ricevere calore dal mantello.
E dove sta la vita?
la vita sta dentro, ospita migliaia di organismi batterici e non solo che sfidano l’assenza di luce solare e le forti pressioni, facendo uso del carbonio disciolto nelle acque proveniente dai ghiacciai circostanti.
Cosa realmente si celi sotto l'Antartico resta ancora un grande mistero: le ultime perforazioni sono state condotte per mano russa nel 2012, ma solo studi e miti sono attualmente in gran fermento.
Per chi volesse approfondire:
#DAGLISTUDENTI:
Via il fetish dei piedi!
Prendiamoci un'ombra... ecologica
(di Cesare B.)
Altro che “impronta ecologica”: vi presento l’ombra ecologica.
No, non è un nuovo tipo di alcolico veneto green, ma è comunque qualcosa di decisamente interessante.
Parte 1: Vaneggiamenti sui piedi
Partiamo da una domanda scema: per il clima, è meglio una persona che viaggia in auto o una che va in bicicletta? Risposta scema: meglio quella che va in bicicletta.
Ma se la persona che va in auto è Luca Mercalli che va a tenere un evento di sensibilizzazione sul clima in una città di montagna, e quella che va in bici è un lobbista delle aziende petrolifere che si sposta da un palazzo di Roma all’altro, allora il discorso cambia. O no?
Dipende.
Decenni fa, per distrarre il mondo dal proprio ennesimo sversamento di inquinanti in mare, la British Petroleum ha creato un calcolatore di “impronta del carbonio”, dove tu metti le tue scelte di consumo individuali e scopri sia quanto inquinante sei, sia quali piccole robette puoi fare per diminuire (anche se di poco) la tua impronta climatica individuale, e diventare più green.
Ora, non ci interessa cercare di capire se la BP volesse aiutare le persone a fare del bene “nel loro piccolo” o se la sua fosse una riuscitissima campagna di marketing mirata a caricare la responsabilità della crisi climatica sulle spalle del cittadino qualunque: a noi interessa capire se alla fine un divulgatore ambientale che si sposta con mezzi inquinanti sia meglio o peggio, che so, di un petroliere che lavora in smartworking dal suo palazzo (inteso come abitazione).
Beh, fatti i conti con la calcolatrice del carbonio della British Petroleum (o con qualunque altro calcolatore successivo, più avanzato, come quello dell’impronta ecologica che tiene anche conto di acqua e suolo), il divulgatore ambientale deve fare ammenda e lavare i suoi peccati, cioè tot litri di benzina, piantando tot alberi (o meglio, donando tot soldi a una determinata azienda che pianta qualcosa da qualche parte nel mondo che non vediamo); bravo invece il petroliere, che nel fare il suo lavoro da casa ha risparmiato tot kg di co2.
Tra l’altro, il nostro ricco petroliere (che può essere della BP o meno, vedete voi) lavora da un’abitazione moderna e passiva, coperta di pannelli fotovoltaici e ad altissima efficienza energetica: ad impatto zero, a differenza di quel pastore tibetano che si scalda con un fuoco di letame che emette co2 e metano in atmosfera.
Abbiamo scoperto chi è bravo e chi no.
Del resto, pensa all’impatto ecologico della carta riciclata con cui sono fatti i volantini delle marce per il clima. Forse non è tanto alto, ma è comunque più alto che non fare niente, quindi meglio non fare niente, così non si consuma carta e la carbon footprint è più piccola.
Greta Thunberg ha viaggiato molto, anche se con i mezzi pubblici: quindi sicuramente ha emesso più gas serra di un suo coetaneo che fa una vita “normale”, composta da scuola-compiti-sport-svago-sonno.
Insomma, gli ecologisti sono incoerenti, perché ogni cosa che fanno per l’ambiente produce co2, meglio non farla, o meglio non essere proprio ecologista, così non ti viene neppure in mente il pensiero e puoi fare quello che vuoi, senza avere paura che qualcuno ti sbatta in faccia quella maledetta calcolatrice del carbonio.
2) Ora andiamo alle cose serie
Finiti i vaneggiamenti che ci hanno aiutato a dimostrare i limiti logici dell’impronta ecologica (perché, signori miei, non si può dire né sentire che uno scienziato del clima sia meno amico dell’ambiente di un emiro del petrolio, quali che siano i loro consumi individuali), andiamo a esplorare una nuovissima invenzione, che presenta una lettura più fedele e complessa della realtà: il concetto di “ombra ecologica”, la “ecological (o climate) shadow”.
Questa volta l’inventore non è una società petrolifera ma una scienziata del clima (una tale Katharine Hayhoe, italianizzabile “Caterina Zappapaglia”) che, per ricerche nei poli e divulgazione, doveva spesso spostarsi in aereo, e per questo bisticciava con la sua “impronta ecologica”, seguendo la quale avrebbe dovuto mollare tutto il lavoro sul clima e andare a vivere tra le montagne come Mauro Corona per compensare le sue emissioni fino ad allora.
Com’era possibile che nella carbon footprint non fosse considerato che il suo lavoro stesso era a difesa del clima? E il voto per un partito ecologista (piuttosto che per uno che nega la crisi climatica), non viene conteggiato? Solo le scelte di vestiti, trasporto, contenuto del frigorifero, riciclata, etc? Insomma, solo quello che si compra?
Il problema è che i consumi sono quantificabili, il resto no. E’ difficile o impossibile calcolare gli effetti ecologici di una conferenza sul clima, o di una manifestazione per il clima: sappiamo solo che spingono un numero difficilmente quantificabile di persone a fare delle scelte giuste ma difficilmente quantificabili.
Eppure ci sono, gli effetti: il Green New Deal europeo e i vincoli di sostenibilità nel PNRR (per quanto entrambi siano ben lungi dall’essere perfetti) sono spuntati fuori perché qualcuno, alias FridaysForFuture&co., ha dato un’enorme spinta al dibattito pubblico sul tema ecologico negli anni precedenti.
O banalmente, un condominio che mette su i pannelli fotovoltaici è conseguenza di un individuo che è uscito dal suo piccolo e ha rotto le p@ll€ ai vicini finché non è stato ottenuto quel tale obiettivo.
Eppure, volontariato ed attivismo per il clima (che siano su scala locale come la storia del condominio, o globale come quella di FFF, XR, Greenpeace e amici), in quanto basate sulle relazioni interpersonali, non sono quantificabili in una normale carbon footprint: ecco allora, contrapposta all’impronta ecologica, l’ombra ecologica, che parte sì dall’impronta sotto il piede ma considera anche l’ombra derivante dal resto del corpo.
In parole povere: i tuoi consumi (conteggiabili) hanno un’importanza, ma ha importanza anche quello che ti rende umano, cioè la comunicazione e quindi le scelte di comportamento mirate ad ottenere degli obiettivi che con i consumi non si raggiungono facilmente, cioè condizionare le scelte degli altri; scelte che non sono facilmente calcolabili, ma che contribuiscono a far cambiare la società in cui vivi e quindi i suoi consumi.
Quali sono queste scelte di comportamento, e quali sono le migliori? Dipende dalla persona, e anche questo differenzia l’ombra ecologica dalle implacabili leggi matematiche della carbon footprint: un universitario può fare cose diverse da una donna incinta o da un pensionato sbirciacantieri, ma tutto quello che fanno per il clima è importante e relazionabile solo alle proprie possibilità.
Una persona con più energie può impiegare quel tempo che prima impiegava in sport e svago per fare attivismo ambientale e sensibilizzazione in giro per le strade della sua città; una persona con un ruolo importante in un meccanismo politico può iniziare a spingere e insistere su determinate scelte da fare, per convincere anche i colleghi inerti; una persona con un lavoro dipendente può parlare con capo e colleghi per suggerire delle modifiche in ufficio o nel piano produttivo; discorsi simili per le persone che hanno a disposizione conoscenze scientifiche, o una buona quantità di tempo, o di soldi, o di conoscenze…
L’importante è trovare qualcosa da fare che comprenda il dialogo costruttivo con le altre persone e che sposti le loro idee e azioni, è essere attivi nel perseguire i propri obiettivi e quando li si raggiunge non fermarsi, ma scegliere un nuovo risultato da concretizzare.
E quindi, in attesa di trovare un modo di calcolare il modo equo la climate shadow, cominciamo già a considerarla: non più solo i nostri consumi, ma anche il nostro impatto sulle altre persone e sulle istituzioni/aziende (che sono comunque fatte di persone); non più solo “il nostro piccolo”, ma anche “il nostro grande”.
#DAGLISTUDENTI:
Presente, passato, futuro
(di Cecilia B.)
Tèmpo...
Nella nostra concezione appare vivo solo nella sua forma presente; esso è però al contempo anche passato e futuro… assoluto e relativo…
La mente umana, che vede e percepisce a partire dal suo sistema di riferimento, non concepisce come ‘controllabili’ eventi che appartengono a momenti diversi dal suo presente; essa vive piuttosto una linearità; scandita da un tempo che, guidato da fenomeni apparentemente irreversibili, come un flusso d’acqua, corre inarrestabile, trasportandoci.
Ciò che deve distoglierci da questa visione è il concepimento di un tempo assoluto che scorre a prescindere dei sistemi di riferimento, ovvero nient’altro che misure sensibili ed esterne della durata per mezzo del moto, comunemente visto come unico e vero tempo poiché ci permette di distinguere giorni, mesi, anni.
Ce lo insegnano gli uomini deformi, da tempo eliminati dalla società di Gandahar (vedi l'articolo sotto a questo) e confinati a spazi sotterranei per via delle loro imperfezioni.
Nel loro linguaggio non vi è correlazione temporale, tempi passati, presenti e futuri sembrano intersecarsi : [in cento anni, Gandahar fu distrutta e tutti i suoi figli uccisi mille anni fa, Gandahar sarà salvata e ciò che non puo’ essere eliminato sarà.]
il tempo è quindi un’ unità di riferimento che dipende dal sistema usato e il popolo di Gandahar, vivendo in un tempo assoluto, non percepisce distinzione tra ciò che è, sarà ed è stato: ciò che non è passato sarà e ciò che è, vive al contempo di presente, passato e futuro...
Per capire questo sistema strano e paradossale ci viene in aiuto proprio un paradosso, quello di Andromeda, una forma dell’argomento di Roger Penrose nel suo libro del 1989, “The Emperor’s New Mind”, dove si illustra una perdita di simultaneità nella relatività ristretta, che cercherò di spiegare attraverso un semplice esempio: supponiamo vi sia una ragazza intenta a leggere un libro al parco, ad un certo punto sente dei rumori provenire dal cespuglio dietro di lei, si volta e vede un ladro che si sta avvicinando per prenderle la borsa. A quel punto lei, nel suo presente, comincia ad urlare, per cercare di attirare qualcuno a soccorrerla; fortunatamente un signore in bicicletta che passa nei pressi, udendo le grida, si avvicina alla fonte del suono.
Dopodiché egli riesce a vedere la ragazza che continua ad urlare ed ella gli indica la fonte della sua paura. La percezione del ladro, avvenimento che appartiene al passato della ragazza, è invece per il soccorritore una realtà presente.
Questo dovrebbe farci riflettere sulla nostra capacità di concepire il prossimo ed aiutarci a mettere in dubbio la nostra realtà per continuare ad apprendere.
#DAGLISTUDENTI:
Gandahar (recensione)
by Cecilia B.
“Tra mille anni, Gandahar fu distrutta, e tutti i suoi figli uccisi; mille anni fa, Gandahar sarà salvata, e ciò che non può essere distrutto, sarà”.
Gandahar, città il cui popolo è caratterizzato da corpi perfetti nei canoni, a stretto contatto con la natura e col suo potere immateriale; passato presente e futuro coesistono. Uomini abili nel corpo e nella mente che coltivano una spinta comune: la curiosità. Quest’ultima porta essi a compiere esperimenti che mettono a repentaglio la vita di alcuni individui che, nati asimmetrici, con organi di senso in numero dispari…
Creati dai loro errori, come tutti i fallimenti, vengono eliminati o per meglio dire confinati, alle terre sotterranee, poiché visti come uomini bruti nella violenza.
Contrariamente a ciò che essi pensano, diversi di loro crearono una comunità molto unita, di rigidi e sani principi; poterono sviluppare una vita concentrata e attenta, risoluta nelle decisioni e distaccata dalle passioni.
Dono che si verificherà salvifico dinanzi all’epoca dell’ordine che Gandahar affronterà…
Eh sì…
Tutto cominciò in una soleggiata giornata dove parte del popolo, intenta alla raccolta nei frutteti, venne attaccata da raggi pietrificanti che uomini di metallo, privi di pensiero, cominciarono a sparare in ogni direzione.
Quando ormai non più un’ anima vagava espressiva nel volto, essi presero le figure, mute di vita, per poi inserirle all’interno di uova metallizzate trasportate da un carro, anch’esso di metallo.
Tutto ciò fu visto e vissuto dal guerriero Sylvian, incaricato dal Consiglio delle Donne, a capo del governo, d'indagare la natura del nemico per poterlo sconfiggere.
Sarà lui a conoscere il grande creatore di ‘le monde du métal’, scoprendo che anch’egli è un esperimento fallito ormai troppo intelligente per poter essere considerato inesistente. Intelligenza che ha già in sé la sua morte, incaricherà infatti Sylvan di distruggerlo quando il suo sistema sarà all’equilibrio…
Ma che morte? Che illusione ci consente di considerar importante ogni nostro respiro?
Cito Einstein che, alla morte del suo caro amico matematico Michele Besso, scrisse: “egli mi ha preceduto di poco dal congedarsi da questo strano mondo ma ciò non significa niente. Per noi, che crediamo nella fisica, il tempo ha solo il valore di un’ostinata illusione”.
#DAGLISTUDENTI:
Clima: i prof e ricercatori che si mobilitano hanno ragione
Nella prima settimana di aprile, in molti luoghi del mondo (dal nostro campus a New York, passando per il Sudafrica), alcuni professori, scienziati e ricercatori hanno aderito alla Scientist Rebellion, una serie di giornate lanciate dall’omonima organizzazione per provare a spingere nel dibattito universitario il seguente quesito: “perché limitarsi a studiare i problemi e non provare a risolverli?”
Questo specialmente per i problemi più urgenti, come l’emergenza climatica ed ecologica.
In particolare, a Marghera alcuni membri della comunità cafoscarina si sono incatenati di fronte alle porte dello stabilimento locale dell’ENI il giorno 6 aprile, mentre il giorno successivo altri si sono sparpagliati per il nostro campus, facendo largo uso di sangue finto, posters informativi e di uno striscione tuttora appeso sopra il Delta.
Per quanto queste tattiche possano far discutere (alcuni non hanno mandato giù i pettoni di colla rimasti sulle pareti dopo la subitanea dipartita dei posters), effettivamente la questione di fondo non è sbagliata, anzi.
Vediamo di approfondire.
La crisi del clima è una roba urgente e molto pericolosa, e risolverla non spetta più solo a noi individui, ma anche e soprattutto alle nostro istituzioni, che con le loro leggi possono facilitare di molto la transizione ecologica.
Purtroppo e per fortuna, le istituzioni sono fatte di tecnici e politici, che per agire sul tema devono essere informati su di esso: per questo esiste un sotto-organo dell’ONU di nome IPCC (Pannello Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) che ogni tot anni redige una serie di documenti estremamente affidabili e dettagliati su cui dovrebbe basarsi la politica per la proprie scelte.
Documenti che, per una più veloce fruibilità per politici e cittadini, hanno anche delle versioni sintetiche di poche decine di pagine (a fronte delle centinaia originali), che vengono appunto inviati alle maggiori istituzioni e resi pubblici sul sito dell’IPCC.
L’ultimo report è uscito giusto il mese scorso, ed è parecchio interessante.
Purtroppo, però, sembra che quasi nessun politico o istituzione si degnino di leggere e diffondere alla popolazione questi report: c’è sempre qualcosa di più vicino e prioritario, come quella tale emergenza locale (e non), quella tale campagna elettorale, quella tale bega interna al partito, etc.
Il risultato è che, nonostante la montagna di informazioni a disposizione, la transizione ecologica a livello globale procede con una lentezza esasperante, quasi comica di fronte all’invece rapido aggravarsi delle anomalie climatiche in giro per il mondo.
Si esaurisce così l’utilità di molti degli studi che vengono fatti dagli scienziati mondiali e/o cafoscarini, che con determinazione inizieranno allora a redarre lo studio successivo, ancora più approfondito e dettagliato, che nel migliore dei casi sarà appallottolato e cestinato nella carta anziché nell’indifferenziata.
Fa ridere e piangere, ma questo cane che si morde la coda va avanti da decenni, e alcuni scienziati devono essersi stufati.
Il ragionamento è che, se il potere costituito ignora la scienza perché deve correre dietro alla politica, la scienza stessa deve avere una maggiore influenza sulla politica: gli scienziati devono uscire dal laboratorio e andare nelle assemblee di quartiere, nelle sedi di partito nuove e vecchie, nelle riunioni del senato accademico di ca’foscari, nel campus all’ora di pranzo, e parlare in modo diretto e impattante di problema e soluzioni, in modo da creare una pressione generalizzata verso chi deve prendere le decisioni.
Non è semplice: persone di loro tendenzialmente riservate e stacanoviste devono sacrificare una parte del tempo che passano ad approfondire la realtà, e invece andare a diffondere quello che già sanno al restante 99% della popolazione che invece ha ancora conoscenze molto superficiali.
Ma i benefici sarebbero grandissimi: affiancando agli attivisti ambientali (pieni di energia ma spesso giovani, politicamente schierati e presi poco sul serio) delle figure scientifiche affermate che appoggiano, con la forza dei dati e dei fatti, delle proposte radicali, sarebbe molto più semplice veder cambiare il pensiero delle comunità e dei politici che da esse dipendono per i voti, e quindi veder attuate delle misure effettivamente utili a contrastare il collasso ambientale.
Molti scienziati stanno già provando questa strada, ecco tre esempi:
- Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana nonché divulgatore ambientale, si è recentemente messo a coordinare anche il Comitato Scientifico a supporto del partito dei Verdi;
- Peter Kalmus, scienziato del clima e divulgatore scientifico di fama mondiale, si è unito alla mobilitazione lanciata da Scientist Rebellion questo aprile, arrivando ad incollarsi alla porta della banca Morgan Chase (qui un video in stile Fanpage) per attirare l’attenzione sugli investimenti filo-petrolio della stessa;
- Francesco Gonella, docente di vari corsi nel campus scientifico (tra cui Fisica Sperimentale e Sistemi Complessi), recentemente ha dedicato “a sorpresa” alcune delle sue lezioni alla spiegazione dell’emergenza climatica ed ecologica agli studenti di Ingegneria Fisica, che altrimenti non avrebbero avuto modo di approfondire granché il problema durante il corso di studi.
Che sia quindi la firma e la diffusione della DECE nella nostra Università, la partecipazione alle attività dei movimenti ambientalisti come FridaysForFuture ed ExtinctionRebellion, o qualunque altra iniziativa atta a smuovere le istituzioni dalla loro quasi immobilità sul tema ambientale: docenti, scienziati e ricercatori che a lavoro e ricerca affiancano l’impegno politico (non per forza partitico), hanno pienamente ragione e meritano una doppia dose di stima da parte di tutti noi.
Nota: ricordiamo che, come vale per ogni altro contenuto in questa sezione del sito, qualunque opinione espressa negli articoli va considerata come opinione esclusivamente dell'autore e non come posizione della Lista Campus Scientifico, nè dell'Ateneo, nè dei gestori del presente sito.
#DAGLISTUDENTI:
Solarpunk, l'utopia del terzo millennio
Quanto abbiamo bisogno di una nuova utopia? La risposta è "sì".
I movimenti ecologisti e la scienza stessa sono maestri nel dipingere il futuro come un luogo ignoto, irto di pericoli e rischi se non smettiamo di alterare l'ecosistema terrestre.
Ma, come ci insegna la storia, la fredda logica e gli appelli al buonsenso non bastano per spingere abbastanza persone al salvifico cambiamento di cui c'è bisogno: abbiamo (anche) bisogno di una impressione emotiva e irrazionale, un sogno cui correre dietro.
Abbiamo già tutti un'infarinatura di cosa siano lo steampunk e il cyberpunk: due correnti dell'immaginario letterario e televisivo che dipingono delle utopie (o distopie) attingendo ad elementi storici e di fantascienza, condite con una critica oppure un'alternativa al sistema economico-politico attuale (da cui il suffisso "-punk").
Lo steampunk (un cui esempio è il capolavoro giapponese "Il Castello Errante di Howl") dipinge una società che non ha mai scoperto il petrolio e si è sviluppata attorno all'efficientamento estremo della tecnologia del carbone per vapore (da cui il prefisso "steam"), mantenendo un impianto culturale simile a quello dell'età vittoriana (Inghilterra del 1700).
Il cyberpunk (che vediamo espresso il film famosi come "Bladerunner", "Matrix" e l'omonimo videogioco "Cyberpunk") è un po' più pessimistico: immagina un futuro (post-apocalittico o meno) in cui la tecnologia ha quasi completamente alienato le nostre vite dalla realtà, e spesso incarna scene di simbolica riscoperta dei nostri istinti biologici come una ribellione alla "realtà aumentata" che non ha affatto risolto i nostri problemi, piuttosto li ha ingigantiti.
Vi è poi un nuovo filone, il "Cli-Fi" (Climate Fiction), che è esemplificato da lungometraggi come "The day after tomorrow" e "Don't Look Up" e dà una narrazione ammonitrice su come, non ascoltando la scienza sui temi ambientali (e non solo), rischiamo un futuro da inferno dantesco.
Quest'ultimo sposa decisamente di più la realtà attuale o prossima rispetto ai due "-punk" precedenti ed è d'aiuto nel far capire allo spettatore medio l'entità della minaccia climatica, ma ha lo spregio di rincorrere l'effetto Cassandra già sofferto dai report scientifici dell'IPCC e dai vari movimenti ecologisti: il messaggio "se andiamo avanti così siamo finiti", da solo, rischia sempre di attivare le difese automatiche del nostro cervello e ottenere un effetto nullo sullo spettatore, che difficilmente si attiverà nell'attivismo ambientale o in robe simili.
Un'alternativa al "Cli-Fi" è la fusione di questo con i due "-punk" di cui sopra: ecco che nasce il Solarpunk, un'utopia futuristica in cui l'umano ha mollato il tossico consumismo attuale e ha ritrovato la soddisfazione del rapporto con la terra, sconfiggendo la fame, la fatica e le malattie tramite una tecnologia sempre più ibridata con i sistemi biologici e aprendo le porte ad una età dell'oro in cui tutte le persone sono serene, competenti e hanno tempo per le proprie passioni.
Il genere solarpunk (in cui il prefisso "solar" introduce non solo le energie rinnovabili, ma in generale l'idea di luce, sia come carburante della fotosintesi sia come simbolo di calore, vita e serenità) esiste da parecchio tempo ma è solo di recente giunto sotto i riflettori di alcune voci ecologiste o ecosocialiste (qui i video divulgativi, ad esempio, di Our Changing Climate e Andrewism, oltre al brevissimo video-manifesto in stile cartone animato), che hanno contribuito a farlo uscire dalla nicchia, e sembra esemplificare bene ciò che generalmente manca nella discussione sui temi ambientali: la visione di un punto di arrivo, abbastanza lontano da non favorire il greenwashing, abbastanza vicino e piacevole da apparire desiderabile a tutti.
E' un'utopia quasi irraggiungibile come del resto lo era il comunismo di un tale Marx; ma come il sogno del secondo ha contribuito a plasmare l'attuale sistema di welfare e discreta democrazia in cui oggi vive gran parte dell'Europa, la spinta ideale verso un mondo in cui facciamo pace con la natura e con noi stessi senza rinunciare al benessere potrebbe fungere da propulsore per il diversificato movimento per il clima, che a tutti i livelli (scienza, politica, attivismo) dimostra i limiti di una narrazione per ora focalizzata (non senza buoni motivi) sulla critica del presente e sul timore del futuro.
Chiudo chiedendo a lettori di approfondire cos'è il solarpunk e consigliando a tutti un vecchio cartone "imparentato" con il Castello Errante di Howl, Nausicaa della Valle del Vento, che è letteralmente il simbolo del ragionamento di quest'articolo: in un mondo rovinato dalle pazzie di un passato "cyberpunk", una comunità che sopravvive in una eterna fase "steampunk" supera delle peripezie e approda ad un futuro "solarpunk" che permetterà di ripopolare la Terra e scongiurare nuove catastrofi (riusciremo anche noi a passare da un immaginario ipertecnologico e tetro ad uno solare e rigenerativo?).
Il tutto con un messaggio di fondo fortemente pacifista, che in un periodo come questo direi che è più che lecito.
#DAGLISTUDENTI:
L'ultimo infiammato discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite
Di seguito trovate la traduzione in Italiano di uno dei discorsi più severi ed allarmati mai fatti da Antonio Guterres (attuale Segretario Generale dell'ONU), che in mezzo all'ondata di appelli di pace alla Russia non dimentica il vero nemico irriducibile della prosperità umana: il collasso del clima.
https://unric.org/it/messaggio-del-segretario-generale-sul-lancio-del-terzo-rapporto-ipcc/
IL SEGRETARIO GENERALE
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VIDEO MESSAGGIO DI LANCIO DEL TERZO RAPPORTO IPCC
New York, 4 aprile 2022
"La giuria ha raggiunto un verdetto. Ed è schiacciante.
Questo rapporto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici è una raccolta di promesse climatiche non mantenute.
È una cartella della vergogna, che cataloga le vuote promesse che ci mettono saldamente sulla strada sicura verso un mondo invivibile.
Siamo sulla via per il disastro climatico:
Le principali città sott'acqua.
Ondate di caldo senza precedenti.
Tempeste terrificanti.
Carenza d'acqua diffusa.
L'estinzione di un milione di specie di piante e animali.
Questa non è finzione o esagerazione.
È ciò che la scienza ci dice che risulterà dalle nostre attuali politiche energetiche.
Siamo sulla via di un riscaldamento globale di oltre il doppio del limite di 1,5 gradi concordato a Parigi.
Alcuni leader dei governi e delle imprese dicono una cosa, ma ne fanno un'altra.
In poche parole, stanno mentendo.
E i risultati saranno catastrofici.
Questa è un'emergenza climatica.
Gli scienziati del clima avvertono che siamo già pericolosamente vicini a punti di non ritorno che potrebbero portare a impatti climatici a cascata e irreversibili.
Ma i governi e le aziende ad alte emissioni non stanno solo chiudendo gli occhi; stanno aggiungendo benzina alle fiamme.
Stanno soffocando il nostro pianeta, sulla base dei loro interessi economici e dei tradizionali investimenti nei combustibili fossili, quando soluzioni più economiche e rinnovabili fornirebbero posti di lavoro ecologici, sicurezza energetica e maggiore stabilità dei prezzi.
Abbiamo lasciato la COP26 a Glasgow con un ottimismo ingenuo, basato su nuove promesse e impegni.
Ma il problema principale – l'enorme e crescente divario [tra obiettivi e realtà] delle emissioni – è stato quasi ignorato.
La scienza è chiara.
Per mantenere a portata di mano il limite di 1,5 gradi concordato a Parigi, dobbiamo ridurre le emissioni globali del 45% in questo decennio.
Ma gli attuali impegni sul clima significherebbero un aumento del 14% delle emissioni.
E la maggior parte dei principali emettitori non sta adottando le misure necessarie per mantenere neppure queste promesse inadeguate.
Gli attivisti per il clima sono talvolta descritti come pericolosi radicali.
Ma i radicali veramente pericolosi sono i paesi che stanno aumentando la produzione di combustibili fossili.
Investire in nuove infrastrutture per i combustibili fossili è una follia morale ed economica.
Tali investimenti saranno presto soldi buttati: una macchia nel paesaggio e una voragine per i portafogli di investimento.
Ma non deve essere così.
Il rapporto di oggi è incentrato sulla mitigazione, sulla riduzione delle emissioni.
Stabilisce opzioni praticabili e finanziariamente solide in ogni settore che possono mantenere viva la possibilità di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi.
Innanzitutto, dobbiamo triplicare la velocità del passaggio alle energie rinnovabili. Ciò significa spostare investimenti e sussidi dai combustibili fossili alle rinnovabili, ora.
Nella maggior parte dei casi, le energie rinnovabili sono già molto più economiche.
Significa che i governi devono mettere fine al finanziamento del carbone, non solo all'estero, ma in patria.
Significa coalizioni sul clima, composte da paesi sviluppati, banche multilaterali di sviluppo, istituzioni finanziarie private e società, che supportano le principali economie emergenti nel compiere questo cambiamento.
Significa proteggere le foreste e gli ecosistemi, [considerandoli] come potenti soluzioni climatiche.
Significa rapidi progressi nella riduzione delle emissioni di metano.
E significa attuare gli impegni presi a Parigi e Glasgow.
I leader devono aprire la strada. Ma tutti noi possiamo fare la nostra parte.
Siamo in debito con i giovani, la società civile e le comunità indigene perché hanno lanciato l'allarme e hanno riportato la responsabilità ai leader.
Dobbiamo basarci sul loro lavoro per creare un movimento radicale che non può essere ignorato.
Se vivi in una grande città, in una zona rurale o in un piccolo stato insulare;
Se investi in borsa;
Se ti interessa la giustizia e il futuro dei nostri figli;
Mi rivolgo direttamente a te:
Chiedi che l'energia rinnovabile sia introdotta ora, in modo rapido e su larga scala.
Chiedi la fine dell'energia a carbone.
Chiedi la fine di tutti i sussidi ai combustibili fossili.
Il rapporto di oggi arriva in un momento di caos globale.
Le disuguaglianze sono a livelli senza precedenti. La ripresa dalla pandemia di COVID-19 presenta disuguaglianze pericolose. L'inflazione è in aumento e la guerra in Ucraina sta facendo salire alle stelle i prezzi di cibo ed energia.
Ma aumentare la produzione di combustibili fossili non farà che peggiorare le cose.
Le scelte fatte dagli Stati ora concretizzeranno o vanificheranno l'impegno dei 1,5 gradi [di riscaldamento globale].
Le promesse e i piani sul clima devono essere trasformati in realtà e azione, ora.
È tempo di smettere di bruciare il nostro pianeta e iniziare a investire nell'abbondante energia rinnovabile che ci circonda."
#DAGLISTUDENTI:
Il caso del ministro russo con l'onoreficenza cafoscarina
"L'uomo che più ha fatto discutere nella nostra Università, chi è?"
A questa domanda, gran parte dei docenti e dei tecnici cafoscarini risponderà "Medinski".
Era il 2014 quando, in piena guerra in Crimea (che stava culminando con l'annessione dell'isola ucraina del gas fossile da parte della Russia), l'allora prorettrice Prof.ssa Burini prese l'aereo per Mosca per portare direttamente all'allora ministro russo della cultura Vladimir Medinski l'onoreficenza "Honorary Fellowship", votata dal Senato Accademico di Ca'Foscari tra le proteste di numerosi membri dell'Università.
La protesta di studenti, dottorandi, professori e personale era il motivo per cui il ministro putiniano non aveva potuto venire a prendersi l'onoreficenza in Ateneo: omofobo e nazionalista, considerato il padre del neonazionalismo russo, non era il benvenuto.
Sono passati otto anni e Medinski, ancora un braccio destro di Vladimir Putin, è coinvolto direttamente nei negoziati tra Russia e Ucraina; ma gli sforzi deludenti in questi, uniti alla petizione di cento professori e tecnici cafoscarini, fanno trabboccare il vaso: il Senato Accademico qualche giorno fa ha votato la sospensione della laurea ad honorem, adducendo che si sta ragionando di introdurre nel regolamento la revoca per poterla utilizzare in casi come questi (anche se si auspica che "il professor Medinskij possa contribuire, nel ruolo politico che attualmente riveste, a far prevalere la ragione e a far tacere le armi”).
Le rappresentanze studentesche e i collettivi universitari spronano il Senato a muoversi il più velocemente possibile: l'onta di un'alta onoreficenza cafoscarina ad un uomo che pare avere la paternità della propaganda russa più estrema (fatta di omofobia, complottismo razziale, negazionismo climatico) non è stata mai mandata giù da nessuno.
Pare inoltre che i titoli di studio di questo personaggio non siano molto meritati: un'organizzazione contro il plagio accademico ha infatti svelato come Medinski in Russia abbia probabilmente scopiazzato due lauree su tre.
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#DAGLISTUDENTI:
Cosa è successo questo lunedì al Rettorato
(di Cesare Bulegato)
Questo lunedì una cinquantina di studenti si è riunita sotto il Rettorato per chiedere un maggiore coinvolgimento delle rappresentanze studentesche ai tavoli tecnici che decideranno eventuali cambiamenti del calendario universitario.
Nota: questa versione dei fatti è per forza ipersintetizzata e sterilizzata. Potrebbe non accontentare nessuna delle parti in causa, ed è per questo che vale la pena leggerla.
L'espressione "Il calendario della discordia" sembra una battuta, ma racconta in modo sintetico una storia che inizia così: nelle strutture universitarie cafoscarine circola l'allarme riguardo un'ultimatum del Ministero dell'Economia e delle Finanze, che impone di adeguare il calendario ad una recente legge riguardo il fisco.
Mentre si muove per chiedere maggiori informazioni, l'Università sonda la possibilità di cambiamenti nell'organizzazione oraria dei Dipartimenti; il processo di raccolta riscontri appare però non essere così perfetto, con informazioni che non arrivano a tutti, con versioni differenti che escono da interpretazioni diverse dei Consigli dei Dipartimenti, con una grande difficoltà a mantenere tutto ciò che c'è attualmente in un ipotetico nuovo regime orario, che infatti è avversato da tutti i professori e studenti.
La comunità studentesca, in particolare, è terrorizzata: girano voci di lezioni che potrebbero iniziare alle 8 e finire alle 20, sessioni d'esame anche per chi finora ha fatto i periodi, un ribasso dell'offerta formativa linguistica; abbastanza per chiedere a gran voce un maggiore coinvolgimento degli studenti, che comunque rappresentano l'80% abbondante della popolazione cafoscarina, nelle eventuali decisioni.
Pur non essendo stati "invitati", lunedì 11 cinque rappresentanti studenteschi (uno per area, cioè lingue, umanistica, economia, arte, e il sottoscritto per scienze) si presentano alla porta di un tavolo tecnico, chiedendo di poter partecipare alla discussione per aiutare nei riscontri delle informazioni.
Nella sala ci sono già i direttori di dipartimento e altri incaricati dello stesso livello, e c'è ancora spazio a sedere per una decina di persone; purtroppo però gli studenti devono rimanere fuori, non sono stati convocati; in via d'eccezione possono entrare la Presidentessa dell'Assemblea dei Rappresentanti degli studenti (che si trova così a dover rappresentare da sola circa 20.000 persone) e il prorettore agli studenti. Poi la porta sbatte.
I rappresentanti respinti non sono però da soli: altri cinquanta studenti (molti di Lisc), rispondendo ad un precedente appello dell'ARS, si sono radunati all'entrata dell'edificio e dopo una breve consultazione decidono di entrare, arrivando a salire le scale e bussare alla porta del tavolo tecnico.
Una breve schermaglia verbale tra tutti i personaggi presentati finora, poi il ritorno degli studenti e dei cinque rappresentanti all'esterno dell'edificio, dove si prova a ragionare su come spingere l'apparato decisionale universitario a considerare una degna rappresentanza (almeno a livello numerico) della popolazione studentesca nei tavoli successivi su questo e altri argomenti importanti.
Intanto finisce il tavolo, ed è quasi un nulla di fatto: la mancanza di numerose informazioni di partenza e la confusione su alcuni riscontri hanno reso possibile solo un clima di stress, moltiplicato dall'"intrusione" degli studenti durante la discussione.
Si convocherà un Senato Accademico straordinario, nell'auspicio di riuscire a trovare una quadra; ma ora la sfida è gestire i malumori degli studenti, che si sentono tagliati fuori da una struttura decisionale già vista come inefficace e poco inclusiva.
La più grande speranza? Che alla fine questa riorganizzazione richiesta dal ministero sia uno scherzo o un errore: tireremmo tutti un sospiro di sollievo.
Altrimenti rischierà di avere inizio una saga persino più cruenta e caotica del Trono di Spade.
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#DAGLISTUDENTI:
Quei dinosauri in giro per il campus eravamo noi (di Ilaria Giora)
Di seguito la dichiarazione di Ilaria, studentessa cafoscarina di Environmental Humanities che ha partecipato all'"irruzione giurassica" nel Campus Scientifico.
Per chi si fosse perso il T-Rex che vagava per il campus, ecco un video.
"La crisi climatica ed ecologica continua ad aggravarsi, nonostante il quasi completo disinteresse della classe dirigente. Il problema è enorme e complesso, e per questo può venire spontaneo rassegnarsi e pensare ad altro: dopotutto, l’impatto che ognuno di noi può avere risulta sempre insignificante. Rassegnarsi forse è la cosa più facile, ma è quella giusta? E’ giusto ignorare il fatto che stiamo andando a grande velocità verso un precipizio?
Il movimento Extinction Rebellion risponde “no!” e accetta la sfida, tanto ardua quanto necessaria, di portare un cambiamento. Come? Il metodo storicamente più efficace risulta senz’altro la disobbedienza civile, cioè tutte quelle azioni, nonviolente ma dirompenti, che sfidano il “business as usual” violando deliberatamente le regole e le leggi.
Anche qui a Venezia sta crescendo un gruppo locale di Extinction Rebellion, ed ha deciso di focalizzare parte delle proprie azioni proprio al Campus Scientifico di Ca’ Foscari: attraverso volantinaggi (eravamo sia quelli seduti a terra con i cartelli sia quelli vestiti da dinosauri), manifesti (quelli bianchi e neri appiccicati in giro per il campus) e azioni individuali, sta facendo il possibile per dare visibilità al problema e coinvolgere gli studenti nell’attivismo climatico.
Perché proprio il Campus scientifico? In parte perché gli studenti, in quanto giovani, rischiano di dover affrontare le conseguenze più gravi della crisi climatica; ma soprattutto perché gli studenti e il personale universitario hanno tutti gli strumenti (conoscitivi e morali) per comprendere come un’emergenza così radicale richiede una risposta altrettanto radicale, da parte di tutti.
Se volete sapere di più sull’emergenza climatica ed ecologica e sui movimenti Extinction Rebellion e Scientist Rebellion siete invitate/i alla presentazione “Verso l’estinzione. Cosa possiamo fare?” questo venerdì alle 9:30 in Sala Orio Zanetto (Edificio Alfa, piano -1, dietro le scale).
Vi aspettiamo!"
#DAGLISTUDENTI:
Tutto ciò che leggo nei tuoi occhi (di Francesco Fortugno)
In questa poesia l'autore si ispira alla propria anima gemella, in una cascata di strofe che trasformano una stanza buia in una successione di stelle, luci e passione.
A precipizio la luce delle tue pupille
pianta stelle nel mio sguardo.
Nel buio della stanza fiorisce il firmamento.
A precipizio, questo incerto cuore si getta
in sentieri in cui ci incontreremo ancora.
Anima ed Anima.
E' tutta qua la vita,
in questo torrente che è il mio corpo sopra il tuo
nel buio della stanza in questa luce
sudata, angosciata e desiderata.
Questa luce che ora leviga il mio cuore,
cura crepe e sfaldature.
E' tutta questa la vita,
qua dove il tuo cuore assorbe le mie lacrime,
qua dove non c'è più un confine tra me e te.
Dove toccandoci
si fondono i corpi.
Allora affonda il coltello della tua verità,
quando si sveste il mio sguardo.
Frughiamo ciascuno nelle viscere dei nostri sbagli.
Impariamo insieme.
Fa troppo male.
Come barca galleggi sfinita nel fiume
dei miei occhi
non affondare
ti tengo.
Che la tua verità faccia cenere
nel labirinto delle mie illusioni.
Di Francesco Fortugno
#DAGLISTUDENTI:
Tutto ciò che pensi di non sapere ma in realtà sai (di Francesco Fortugno)
Nella seguente poesia l'autore sperimenta nella poesia la tecnica del flusso di coscienza, che vede come protagonista un bambino la cui vita è rovinata da un bombardamento. Lo stile è veloce e concitato, e raccoglie sia l'infantile semplicità e creatività del pargolo che i devastanti dettagli dello shock che si trova a subire; le figure delle due anziane e dell'uomo sono pilastri che aiutano a portare il peso della narrazione, ma creano anche la cornice che alla fine permette al piccolo protagonista di fantasticare riguardo ad un ritorno ad un "prima" spensierato.
Una storia non inverosimile nell'infinità di orrori generati continuamente dai conflitti nel mondo: un concetto richiamato dal titolo stesso.
Sento una bambina piangere, sento persone urlare
oppure una mamma gridare
che la catastrofe sta per arrivare
un missile terra aria sta per scagliarsi
dentro una casetta
tutta carina e perfetta
dove al suo interno sedeva una nonnetta
anche lei carina e dolcina
ma il suo sorriso fu spazzato via.
Il suo intero corpo sporco di intonaco e macerie
non sarebbe più ritornato indietro neanche con l’ausilio di preghiere
ma la nonnetta era lì.
Il sangue colava giù alla stessa velocità di come colavano le sue lacrime
si mischiavano assieme producendo un composto omogeneo
osservato dall’alto da uno sguardo
di un bimbo ingenuo e indifeso.
Il bimbo vide la nonnina
le porse la mano per aiutarla
ma lei non l’afferrò preferiva morire
che vivere in quell’inferno che si creò
ma il bimbo cercò in tutti i modi di aiutarla
ma lei chiuse gli occhi e morì da vincente e non da perdente.
Il bimbo alzò la testa e vide che il tetto sparì
e pensava fosse stato il vento
ma nel cielo volavano altri tipi di venti,
volavano masse ferrose che creavano solo male e morti.
Distruggevano famiglie,
portando l’unisono di persone a separarsi per sempre.
Il bimbo spaesato e spaventato uscì dalla casetta
ormai triste e non più perfetta
e raggiunse la sua di casetta
e non la vide…
si ritrovò solo, infreddolito
e senza un dito,
in quell’istante si sedette su un pezzo di strada
e si mise a piangere
le sue lacrime colavano
alla stessa velocità di come colava il sangue dal suo dito
il tutto osservato dall’alto
dallo sguardo atterrito di un uomo.
L’uomo si sedette dinanzi a lui
e gli sussurrò dentro alla cavità auricolare
di non mollare e che se voleva se ne potevano andare
via insieme, non aveva senso aspettare
la loro ora era pronta ad arrivare.
Il bimbo ormai soffocato
dalle sue stesse lacrime e con il cuore impazzito,
fece cenno di si con la testa
e insieme se ne andarono di tutta fretta.
Insieme mano nella mano si incamminarono
verso il nulla
alla ricerca di qualcuno
che gli potesse offrire un po' d’aiuto.
Mentre i due ormai amici
o comunque protettori l’uno dell’altro
si incamminarono verso cumuli di macerie
e nuvole di polvere bianca che inondava il cielo,
il bimbo si coprì gli occhi con le sue esili mani
invece l’uomo cercò di aiutare le persone coinvolte
ma trovava solo terrore
e corpi avvolti in teli bianchi.
La guerra
è la stessa situazione di calpestare una mina anti uomo posta a terra,
la vita è bella
ma la morte è sempre dietro l’angolo che ci aspetta.
Alla fine il bimbo e l’uomo
scalarono montagne e attraversarono sentieri
per arrivare a trovare qualche angelo
che gli potesse dare una mano calda e fedele,
ne trovarono uno
si chiamava Adele
che gli diede un letto
e un pasto caldo
e gli diede amore
sia a l’uno che all’altro.
Il bimbo ormai stremato
diede spazio a un pasto prelibato
e successivamente
a un sonno incantato.
Al suo risveglio diede spazio a un attento sguardo
della dimora della vecchia signora, e disse madonna
che bella questa casetta
è bella è perfetta
mi ricorda tanto la casetta
di quella nonnetta
carina e dolcina
era la mia vicina,
si fece male
ma io le porsi la mano
ma lei non la afferrò
e in cielo con un treno di non ritorno se ne andò.
L’uomo incredulo si chinò
e abbracciò il bimbo
e gli disse che gli dispiaceva della nonnetta,
il bimbo si sedette e gli rispose
guarda caro uomo io sono grato del tuo aiuto
ti ringrazio tantissimo
per avermi protetto per tutto il viaggio
ma io devo andare a trovare la nonnina
perché ritrovando lei la mia vita sarà di nuovo felice come prima.
di Francesco Fortugno
#DAGLISTUDENTI:
Questa nostra inaspettata esperienza con Zaia (di Cesare Bulegato)
Nota: ricordiamo che, come vale per ogni altro contenuto in questa sezione del sito, qualunque opinione espressa negli articoli va considerata come opinione esclusivamente dell'autore e non come posizione della Lista Campus Scientifico, nè dell'Ateneo, nè dei gestori del presente sito.
Avere Zaia che, a distanza di si e no venti metri, ci guardava negli occhi rispondendoci con una (spero involontaria) stranezza... è stata un'esperienza inaspettata.
"Nel pomeriggio di lunedì 21 marzo il Governatore del Veneto Luca Zaia ha partecipato alla presentazione del PNRR presso le Procuratie Vecchie in Piazza San Marco a Venezia, insieme al Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e ai ministri Brunetta, Franco e Messa.
Durante l’evento (visibile sul canale youtube del Comune di Venezia) capita che alcuni giovani universitari facciano una domanda sugli investimenti del PNRR riguardo la tecnologia dell’agrivoltaico, progettata apposta per superare il problema del consumo di suolo derivante dall’uso dei pannelli a terra."
Il seguente articolo di OggiTreviso riguarda un fatto semicomico accaduto davvero e che ha coinvolto me e altre due studentesse di Ca'Foscari, in un evento che probabilmente verrà narrato meglio in un articolo successivo.
Intanto godetevi questa gaffe di Zaia e questo approfondimento sull'agrivoltaico!
#DAGLISTUDENTI:
Il nuovo Don Vecchi a Mestre ("l'ipermercato della solidarietà") è una figata (di Cesare Bulegato)
Sono stato al nuovo Don Vecchi di Mestre, sia per curiosare sia perché io e mio padre avevamo finalmente trovato dove donare delle verze (nella nostra azienda agricola ne erano venute troppe) e la parte migliore dei mille vestiti e oggetti che ci eravamo trovati a stoccare dopo un mercatino locale dell'usato.
Prima cosa che ho pensato vedendolo da lontano: "Porca miseria, quel posto è immenso."
Sapevo che il mondo cattolico mestrino aveva recentemente ricevuto dal Vaticano una valanga di soldi per un progetto speciale dedicato alle persone in difficoltà materiale, e sapevo che erano stati costruiti vicino al Terraglio un villaggio semi-autosufficiente a basso affitto, e un megamagazzino per la raccolta e il riuso di cibo, vestiti, mobili e oggetti.
Pensavo che il megamagazzino fosse una roba tipo i poli logistici di Amazon, solo con un po' di ragnatele e muffa in più; invece scendendo dalla macchina, mentre caricavo in spalla il primo scatolone di verze da donare, ho visto qualcosa di vagamente simile ai nuovi ipermercati della Cadoro a Lancenigo e Mogliano Veneto.
Una facciata di vetro da cui si poteva vedere tutto l'interno, un lungo corridoio di entrata in mezzo al verde (purtroppo quello riservato ai poveri aveva una fila pazzesca), cartelli con indicazioni, le bandiere con la faccia di Papa Francesco che sventolavano salutando il viavai di volontari dall'uniforme gialla catarifragente; io e mio padre, verze in spalla, ci siamo tuffati in mezzo al primo comparto (quello del cibo) cercando qualcuno che potesse darci indicazioni.
Fortunatamente abbiamo trovato un volontario che ci ha fatto da guida nell'"ipermercato della solidarietà" (un nome interessante per un edificio effettivamente vicino alla zona degli ipermercati consumistici di Decathlon, Mediaworld, OBI, Unieuro, Conforama etc): vi erano sostanzialmente tre grandi sezioni dell'edificio, una dedicata appunto al cibo, le altre due rispettivamente a mobilio e oggetti come vestiti e giocattoli.
Tutte e tre venivano costantemente rifornite da persone che venivano a donare i loro usati migliori e aziende che portavano le loro eccedenze: i volontari s'incaricavano di selezionare ciò che arrivava e disporre le cose accettate nei vari settori, organizzati e disegnati come dei veri e propri negozi di moda, mobilio e cibo, attraverso cui passavano i fruitori prima di arrivare alle "casse".
Solo che non vi era pagamento: le persone certificate come "in difficoltà economiche" dal Comune di Venezia potevano venirsi a prendere il cibo messo a disposizione, mentre per ciò che riguardava mobili eccetera, beh, erano a disposizione di chiunque, gratis.
L'obiettivo del gigantesco centro di solidarietà, ci ha detto la guida, è raccogliere e donare non solo a chi ha bisogno di aiuto, ma anche a chi vuole risparmiare e/o evitare di alimentare la filiera dello spreco, fornendo quindi un fantastico servizio di sostenibilità economica ed ecologica per la comunità.
Storditi da un tale spettacolo senza precedenti, durante il nostro successivo viaggio di donazione io e mio padre abbiamo fatto altre mille domande, ma non sto a raccontarvi tutto adesso.
Il mio consiglio è di andare a vedere con i vostri occhi questa incredibile novità che è il nuovo Don Vecchi.
#DAGLISTUDENTI:
L’impegno delle etnobotaniche di Ca’ Foscari per supportare il popolo ucraino (estratto di articolo di Altreconomia)
Questo è un estratto da un articolo di Altreconomia (autrice: Chiara Spadaro) che invitiamo vivamente a consultare.
Domenica 27 febbraio Renata e il suo gruppo di ricerca di Ca’ Foscari hanno avuto il primo incontro con sette studenti ucraini; in pochi giorni il gruppo è cresciuto fino a 30 persone: “Non solo ucraini, ci sono anche italiani e persone di altre nazionalità. L’unica cosa che chiediamo per partecipare è la disponibilità a dare una mano”, spiega la professoressa.
“La nostra proposta è quella di agire concretamente -aggiunge Giulia-. Come università e mondo della ricerca abbiamo il dove di informare, e crediamo che gli studenti siano una parte attiva della società”.
Tra di loro c’è Anastasia, 24 anni, arrivata a Venezia lo scorso settembre dopo la laurea alla University of Banking di Kyiv per frequentare a Ca’ Foscari il corso di laurea magistrale in “Global Development and Entrepreneurship”.
“Sono arrivata desiderosa di studiare, non per scappare”, specifica guardando la videocamera da dietro gli occhiali con una lente azzurra e una gialla.
“Fino a pochi giorni fa la mia vita andava avanti normalmente, tra studio e lavoro, pianificando i viaggi in Ucraina -racconta-. Voglio dire che sapevamo che c’era qualcosa che stava per succedere, ma nessuno credeva che sarebbe successo. Tutti erano sicuri che non sarebbe accaduto nulla e quando eravamo nel panico percependo una ‘guerra potenziale’, il Governo ci ha suggerito di restare calmi e di restare nel Paese per non danneggiare l’economia. E ha funzionato: molti hanno smesso di preoccuparsi e nessuno credeva che la guerra sarebbe stata possibile”.
Per queste ragioni anche i suoi genitori sono rimasti a Kyiv “fino all’ultimo momento: non volevano lasciare la casa che si erano costruiti con grandi sacrifici”. Ma in poco tempo si sono convinti del rischio che avrebbe comportato restare in città e hanno deciso di partire per Ivano-Frankivs’k, per riunire la famiglia. “Ho messo tutta la mia vita in una valigia”, le ha detto sua mamma quando ha lasciato la sua casa.
Anche nella parrocchia di Sant’Antonio si impacchettano beni essenziali: la comunità ucraina di Venezia li sta raccogliendo per inviarli in Ucraina. “Abbiamo una domanda: perché?”, dice Oksana, impegnata a organizzare gli scatoloni.
È arrivata in Italia vent’anni fa: “Se avessimo una risposta forse sarebbe più facile capire”. Secondo Anastasia, uno slogan efficace per sensibilizzare su quello che sta succedendo può essere: “Pagate il vostro gas con le vite degli ucraini (You pay for your gas with Ukrainian lives).
Ogni mercoledì si svolgono i seminari DiGe, ma questa settimana arriva una mail di Baiba che comunica: “Purtroppo dobbiamo annullare questo incontro perché i nostri sforzi sono diretti verso l’Ucraina e speriamo che anche voi stiate facendo lo stesso”.
“Le parole che usiamo in questo discorso sono molto importanti -sottolinea Renata-. Non si tratta più di un conflitto: questo è un genocidio, in Ucraina, Bielorussia e anche in Russia, perché i soldati russi sono composti dai tanti gruppi etnici della minoranza e sono malnutriti e male attrezzati, non sanno dove vanno e non vogliono sparare, sono obbligati a farlo. E non è una guerra, ma una vendetta: stanno bombardando i quartieri dove abitano i civili. Dobbiamo diffondere un messaggio chiaro, che non sia solo la richiesta della pace, ma il sostegno della resistenza ucraina per fermare il regime russo. In questo momento l’Ucraina funziona da cuscinetto: se non fermiamo Putin lì, saremo tutti in una situazione molto pericolosa”.
#DAGLISTUDENTI:
Interviste particolari dalla manifestazione per l’Ucraina (di Cesare Bulegato)
Foto poetica fatta quasi alla cieca da dietro uno striscione, titolo ”L’Esercito della Pace”.
Sono stato anche io alla grande manifestazione per la pace in Ucraina a Venezia mercoledì scorso, e come potevo mancare? C’era il Patriarca di Venezia (ho sentito girare voce che grazie proprio a lui è stato autorizzato un corteo fino a Piazza San Marco, evento storico direi), c’erano Emergency, FridaysForFuture, Libera, ANPI, e altre mille associazioni e sigle, addirittura l’ARS (l’Assemblea dei Rappresentanti degli Studenti di Ca’Foscari, per conto della quale partecipavo).
Ma cosa ve ne frega di me? State leggendo perché volete le “interviste particolari” di cui avete letto sul titolo!
Quindi eccovele qui.
Di seguito:
- intervista ad una degli organizzatori del corteo, Malika del collettivo universitario “LiSC”;
- report di una strana conversazione con una turista americana che era lì per caso;
- domande random ad una ragazza in treno, alle undici e mezza, perché non potevo lasciarla in pace
Iniziamo dall’ospite d’onore!
Malika di LiSC (Organizzatrice)
(Intervista fatta in telefonata, due giorni dopo la manifestazione)
Ciao Malika, domanda retorica: Perché avete organizzato una manifestazione? Perché fare qualcosa del genere oltre alle raccolte di soldi e beni di necessità per gli ucraini?
- Perché le donazioni sono giuste e legittime, ma una vera solidarietà passa anche per la partecipazione all’unica cosa che può mandare un messaggio forte alla comunità, alla politica e a ciascuno di noi: una manifestazione che unisce la nostra umanità e canalizza la nostra voce verso chi prende le decisioni, un evento che ci fa sentire qualcosa di più che degli individui soli, che si possono sentire impotenti davanti al terrore della guerra, ma che invece possono lanciare un messaggio forte.
Cosa ne pensi del conflitto in Ucraina?
- Io personalmente sono inorridita per il conflitto insensato e sanguinoso scoppiato poche settimane fa, e riconosco la responsabilità sia di Putin, sia della NATO. Non nasce tutto da un semplice “quelli sono i buoni e quelli i cattivi”, ma da una geopolitica globale che è ancora novecentesca, predatoria e troppo ancorata ad armi e combustibili fossili, e che quindi crea regolarmente tensioni e conflitti nelle zone più critiche del mondo.
L’unica soluzione a lungo termine secondo me (ed era anche il messaggio della manifestazione) sono pace e disarmo concordati a livello globale, e una collaborazione internazionale per risolvere con il mutuo aiuto ogni problema; almeno per me, volere qualcosa di meno significherebbe acconsentire in partenza a qualunque tragedia possa accaderci in futuro.
Come ti sei sentita quando hai visto tutta questa gente? A San Marco, per di più, un evento storico!
- Mi sono sentita molto soddisfatta quando il nostro corteo da cinquemila persone di tutte le età ha completamente riempito la piazza più grande di Venezia. Non mi aspettavo nulla di diverso, non mi sono stupita quando le autorità ci hanno autorizzato una manifestazione a San Marco: quello che stiamo vivendo e la nostra risposta è, come dici te, un evento storico, che senza ombra di dubbio meritava di coinvolgere una piazza solitamente proibita all’espressione politica.
Com’è stato sentire parlare il Patriarca di Venezia parlare al microfono vicino a te, tra l’altro con toni così radicali rispetto al solito moderatismo cattolico? A me ha colpito parecchio questa variazione del repertorio.
- Sinceramente non mi ha sbalordito molto: tutto quello che diceva era giustissimo e direi pure scontato vista la situazione e la sua posizione da “pastore” della comunità credente, ma ho di gran lunga sentito coinvolgermi di più le parole di altri giovani attivisti e attiviste che si battono ogni giorno, senza il bisogno di motivazioni religiose, perché la voglia di giustizia e serenità ce l’hanno già dentro.
Qual è stato l’intervento che ti ha colpito di più?
- Mi è difficile scegliere, perché sono stati toccati tanti temi importantissimi e che sento tutti miei, dalla pace duratura all’emergenza climatica; ma sicuramente trovo degno di nota il discorso di una attivista riguardante l’accoglienza dei profughi: è giusto soccorrere e aiutare chiunque cerchi una vita dignitosa e felice, e non ricordarsi di essere solidali e accoglienti solo quando l’esule ha la pelle bianca e i lineamenti europei, perché non esistono guerre di serie A e guerre di serie B, come non esistono profughi di serie A o B: le persone vanno accolte, punto!
I vari interventi (tra cui quelli di una donna ucraina e di alcuni studenti russi) e i cartelli dei partecipanti hanno mostrato punti di vista molto diversi, eppure erano tutti lì, nella stessa piazza: pensi che quest’unità sia dovuta solo al tema fortemente sentito da tutti, o anche a un bisogno, dopo l’isolamento sociale e psicologico prodotto dalla pandemia, di tornare a fare rete e affrontare i nuovi grandi problemi in modo più coeso?
- So già che, per un futuro lavoro di squadra, alcuni saranno più disponibili, altri meno; ma abbiamo avuto la dimostrazione che si può scendere in piazza per temi che tutti sentiamo dentro di noi.
Quindi nel caso della manifestazione per il clima del 25 marzo, prossimo appuntamento nella città, sono sicura che rivedrò moltissime facce conosciute, perché ormai quasi tutti hanno capito cosa c’è in gioco nella lotta contro la crisi climatica: il nostro stesso futuro, la possibilità di vivere in un mondo prospero o al contrario straziato da mille altre guerre addirittura per l’acqua e per le zone abitabili.
Vuoi lanciare un messaggio ai nostri lettori?
- Sì: vi chiedo di udire dentro di voi la voglia di non sentirvi più da soli di fronte ai problemi del mondo, ma di unire insieme le voci per lanciare un messaggio forte alle istituzioni e alla comunità, per accelerare il cambiamento che tutti vogliamo vedere.
In particolare, come dicevo prima, siete tutti invitati a venire a manifestare per il clima a Venezia, venerdì 25 marzo, perché l’Italia non retroceda dal gas al carbone, perchè non possiamo vedere il nostro futuro andare in fumo, ma insieme possiamo cambiare le cose.
Dimenticavo! Hai detto che fai parte di un collettivo di studenti universitari, cos’è e cosa fate?
- Siamo un collettivo che da anni porta un discorso politico in università e si interessa del futuro di studenti e studentesse. Parliamo di temi come la residenzialità, il diritto allo studio, il transfemminismo, la crisi climatica e molto altro. crediamo che chi vive questa città possa avere una voce forte e da qui cercare di cambiare lo stato delle cose, partendo dalle nostre aule, diffondendo saperi per poi mobilitare le persone.
Turista americana che era lì a caso
Durante la manifestazione mi è accaduto, durante l’intervento di due universitari (rispettivamente ucraina e russo), di incrociare una tizia alta e anziana con un ponpon in testa, che mi chiede in inglese americano (era probabilmente una turista, o magari una della CIA, chissà): <What are they sayin’!?>
Ho provato, con il mio inglese da campagnolo, a sintetizzarle un po’ di ciò che era stato detto, ma a metà mi ha interrotto scuotendo la testa: <How do you think we’ll stop this war without weapons?>
Una domanda molto terra-terra, accompagnata da un <Maybe we need weapons…>
Non avendo risposte per la prima domanda, ho scrollato le spalle e risposto solo alla sua ultima affermazione, con l’unica cosa di cui sono sicuro: <The most necessary weapons from now will be photovoltaic panels and wind turbines, because they do not kill and they create jobs. Those are the right weapons. The war against the climate crisis is the only righteous war, it’s my only certainty. We must push for that, or the future will all be Ucraine.>
Al che l’americana alta e anziana mi sorride divertita e cambia argomento: <In USA we need a strong President.>
E io: <You need a strong people, not only one strong person.>
Lei si guarda intorno e fa: <In Italy you have got strong people?>
Anche io mi guardo intorno, mi vengono automatiche le spallucce e una frase in Italiano: <E che ne so io?>
Lei aggrotta le sopracciglia, io sorrido e “traduco”: <A lot of strong people, maybe not “a lot” enough yet?>
Questa sembra averne abbastanza, mi saluta e se ne va, lasciandomi a chiedermi il senso di quella conversazione e le idee politiche di quella signora.
Ragazza random che ha partecipato alla manifestazione
Ore dopo, in treno per Mogliano, siedo per caso vicino ad una “vecchia” collega (la conoscevo perché l’anno precedente gestiva il giornalino scolastico di un liceo moglianese) con un cartello con scritto #stopthiswar, probabile indizio della sua partecipazione alla manifestazione, e ne approfitto per proporle un’intervista, ovviamente accettata.
Occhio sinistro chiuso e punta di lingua fuori, inizio con la domanda più scema del mio repertorio: <Allora, pro NATO o contro NATO?>
Mi risponde divertita che se non la lascio contestualizzare mi fa scena muta per tutta l’intervista. Poi mi dice che di sicuro la NATO (intesa come USA+Europa) non è il male, anche se ovviamente dovrebbe fare di meglio per accorciare il conflitto con un intervento economico più efficace, prevenirne di nuovi con politiche internazionali più attente e aiutare gli sfollati migliorando il sistema di accoglienza, che funziona male, in Italia ce ne eravamo accorti già negli ultimi tre anni se non prima.
Le chiedo poi se trovasse disturbante il fatto che Putin “ci tenesse per le palle grazie al gas fossile”: lei conviene con me che, di sicuro, se avessimo già fatto la transizione ecologica ora ci sarebbero meno problemi con l’aumento di tasse e spese energetiche, che fino a ieri sembravano poter essere possibili solo con le rinnovabili.
<Gli analisti geopolitici finora hanno sempre sbagliato qualunque previsione, quindi la nostra opinione vale quanto la loro: dunque ti domando, secondo te come finirà questa guerra?>
Mi risponde con buon senso che non si azzarda a fare previsioni.
Vado ad una domanda più scialla: <Cosa possiamo fare per il popolo ucraino?>
Mi risponde che una cosa non banale sarebbe informarci sulla storia di quel paese e del conflitto con la Russia, per comprendere meglio le cause dei guai; poi, nel concreto, donare a ONG e organizzazioni attive nel portare soccorso nel territorio in conflitto, e soprattutto farle conoscere con i nostri mille canali social e non solo.
Le faccio notare pure che per l’Ucraina lei e io (e pure un’infinità di altra gente) siamo anche scesi in piazza, ma questa volta mi stupisce: le manifestazioni sono spesso fini a sé stesse e tendono a prendere pieghe politiche, soprattutto perché chi le partecipa generalmente ce l’ha, l’anima politica, non si può negare.
Lei partecipa alle manifestazioni non tanto perché è certa della loro utilità (che se un evento è servito davvero al suo scopo, cioè sensibilizzare, si scopre sempre dopo), ma perché è certa di trovare altre persone impegnate e informate simili a lei, e questo la fa sentire parte di una comunità più grande e viva di quella che abbiamo attorno tutti i giorni. Si lamenta poi che a quella manifestazione non c’erano tantissimi giovani, le rispondo che ho visto a occhio un under 30 ogni 3 persone: il che, rispetto alla media della manifestazioni che ho visto, almeno per me significava “tanti giovani”. Forse è abituata alla schiacciante maggioranza giovanile dei FridaysForFuture.
<Parlando di giovani: come ti auguri che la nostra generazione affronti il presente e il futuro?>
Lei mi fa spallucce, dice che spera che i nostri coetanei non abbiano bisogno delle catastrofi per rendersi conto che il mondo esiste, e che si cominci ad avere più interesse per le cose indipendentemente dall’attualità.
Del resto, noi giovani abbiamo un ruolo da giocare, come pure gli adulti e gli anziani, per salvaguardare l’avvenire: insieme, e solo insieme, siamo il luminoso futuro di questo mondo tormentato.
L’intervista finisce, inizia la chiacchierata, mentre il treno procede spedito verso casa.
#DAGLISTUDENTI
Cerca dove è alto il Sole (di Jordy)
Questa poesia è stata composta dallo studente Niccolò Giordano Bonato, in arte Jordy
CERCA DOVE È ALTO IL SOLE
Crepuscolare cielo
Che in me vivi e nel mondo intero
Copri me con il tuo velo
Copri me e dimmi il vero
Dimmi che la Luna tornerà
Dammi ancora quella stella
Di tutte lei, ch'è la più bella
Dove Amor non svanirà
E poi vivrò ad ogni ora
E servirò la mia Signora
E poi vivrò ogni anno
Essendo tu cura a mio malanno
Allor ti seguirò in riva al mare
Affronterò anche il digiunare
Arriverò persino al tuo grande altare
A render grazie, ad adorare
Io non mi sento alla tua altezza
Inganno il tempo ne la menzogna
Sei tu che porti a me la brezza
Sapor di mandorla e di chi lo sogna
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Nota di imparzialità della redazione: questo articolo esprime solo ed unicamente l'opinione del proprio autore.
Esempio di articolo
#DAGLISTUDENTI
Gli NFT sono un abominio (di Nicola Cognome)
Nell'immagine: un NFT con delle scimmie, diventato iconico
Mi sono sempre state sulle scatole due cose: la non-replicabilità e la proprietà privata.
(premi sul "+" qui a destra per continuare a leggere)
Gli NFT ora le mettono insieme, e adesso vi spiego perché per me sono l'ennesimo salto in basso.
Resto dell'articolo, con eventuale aggiunta di link
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Nota di imparzialità della redazione: questo articolo esprime solo ed unicamente l'opinione del proprio autore.
Esempio di articolo
#DAGLISTUDENTI
Nucleare: pro e contro (di Nome Giovannini)
Didascalia dell'immagine
Frase introduttiva accattivante.
(premi sul "+" qui a destra per continuare a leggere)
Articolo con parti importanti in grassetto ed eventuale aggiunta di link
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Esempio di articolo
#DAGLISTUDENTI
Viva la schwa (di Achille Laurea)
Didascalia dell'immagine
Frase introduttiva accattivante.
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Articolo con parti importanti in grassetto ed eventuale aggiunta di link
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Esempio di articolo
#DAGLISTUDENTI
Citazioni a caso (di Afor Ismi)
Nell'immagine, tre dei tanti classici simboli di intelligenza: occhiali (capacità di analisi), libri (capacità di concentrazione), matite colorate (creatività)
(premi sul "+" qui a destra per continuare a leggere)
“Nessuno c'ha un soldo, uno scopo, una vita
però c'hanno tutti un sacco di opinioni.”
Willie Peyote
“Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro-verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.”
Guida Galattica per Autostoppisti
“Per me l'uomo colto è colui che sa dove andare a cercare l'informazione nell'unico momento della sua vita in cui gli serve.”
Umberto Eco
"Non guardare le notizie,
sii tu la notizia!"
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